Il regista anticipa i temi dello spettacolo in scena al Teatro di Locarno mercoledì 22 e giovedì 23 novembre
"Ancora, sempre, Antigone ci invita ad addentrarci nelle contraddizioni e nei dilemmi ultimi della vita: legge del più forte e nomos perenne; arroganza e inconsistenza del potere; alienazione e coscienza di sé; violenza e non violenza; ragioni dello Stato e ragioni della famiglia; ordine pubblico e coscienza privata; philia ed eros; regno dei viventi e regno dei morti; mondo maschile e mondo femminile; età matura e giovinezza; vita di corte e vita di natura... Su tutto, la pretesa di obbedienza assoluta e la rivolta personale": la sintesi di Gustavo Zagrebelsky rende conto delle implicazioni e delle contraddizioni di un mito che da millenni interroga gli uomini sul significato e sul rispetto delle leggi, e dunque dei limiti, che si danno per stare insieme. Lo spettacolo ‘Antigone e i suoi fratelli’, in programma mercoledì 22 e giovedì 23 novembre alle 20,30 al Teatro di Locarno, promette nuovi spunti di riflessione sul tema. Ne parliamo col regista, Gabriele Vacis.
Come si articola lo spettacolo?
Lo spettacolo è estremamente semplice, spoglio, disadorno: abbiamo fatto nostra la lezione di Peter Brook sullo spazio vuoto, per cui sono gli attori stessi che producono lo spazio. Poi c’è un lavoro importante su quella che Roberto Tarasco chiama scenofonia: vuol dire che le scene sono evocate dal suono. I ragazzi, ovvero la classe che si è diplomata due anni fa alla scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, mettono in scena prima una parte de ‘Le fenicie’ di Euripide, che si rappresenta molto poco e racconta l'antefatto dell'Antigone, e poi l'Antigone vera e propria, quella di Sofocle, però costellando il tutto con le loro riflessioni, perché mettere in scena oggi un testo di 25 secoli fa li ha costretti a guardarsi dentro, facendo i conti con i temi e i dilemmi che queste tragedie propongono.
Ogni mito può essere tirato per la giacca a seconda dei momenti e delle convinzioni: a volte si sente il bisogno di ribellarsi a leggi ingiuste, in altri casi ci si stringe intorno ai principi che danno solidità e identità a uno Stato e a una comunità: non si corre il rischio che Antigone venga considerata in modi diversi a seconda delle contingenze storiche, visto che un classico è anche uno specchio in cui leggiamo noi, la nostra società e il nostro tempo?
Questo è sacrosanto, e infatti noi abbiamo dichiarato prima di ogni altra cosa la nostra visione di parte: Antigone è prima di tutto una ragazza. Abbiamo confrontato le sue vicende con quelle delle ragazze che sono in scena (sette, insieme ad altrettanti maschi): la loro visione degli eventi di oggi, a partire dalla guerra, cioè dai fatti più violenti e aggressivi, è diversa da quella dei loro compagni maschi. Il risultato è che facciamo dire ad Antigone ciò che queste ragazze pensano e sentono.
Antigone è stata vista anche come la prima eroina a ribellarsi pubblicamente al potere maschile, e quindi una protofemminista: condivide questa lettura?
Sì, anche se il femminismo di queste ragazze ventenni è molto diverso dal femminismo di quando ero ragazzo io, e questo ci ha portato a un confronto anche molto serrato. Per dirne una, a volte non ci accorgiamo di quanto calpestiamo le donne: su questo ci hanno sottoposto a una critica continua. Oppure, pensi ad Antigone che proclama di non voler rispettare delle leggi astratte, ma di voler amare: è una visione completamente diversa da quella maschile. E infine c‘è un tema legato al linguaggio. Quando ne ’Le fenicie‘ di Euripide Giocasta convoca i suoi figli usa la tecnica maschile del confronto dialettico, ma si rivela un tentativo fallimentare, che ottiene un risultato opposto a quello prefissato, perché alla fine i figli si ammazzano l'un l'altro: ebbene, oggi il dibattito pubblico si svolge nei termini di una contrapposizione che accentua le differenze e allontana ogni possibilità di riunificazione. E, mentre Polinice ed Eteocle vanno allo scontro, le donne scelgono un linguaggio completamente diverso, che è il canto, la preghiera, la narrazione.
A scuola ci dicevano che, quando Antigone affronta Creonte, parla come un uomo.
Allo stesso modo, nel nostro spettacolo Emone è interpretato da una ragazza, perché è l'unico maschio che prende posizioni femminili e pensa in modo femminile.
Nell'allestimento dello spettacolo è stato influenzato da altre versioni, come quella di Heinrich Böll per un film di Volker Schlöndorff, o quella di Brecht?
Soprattutto dalle versioni di Bertolt Brecht e di Jean Anouilh. Anouilh scrisse il suo testo durante la seconda guerra mondiale, quando i problemi posti dall'Antigone erano proprio urgenti. Negli ultimi due anni sono diventati urgenti anche per noi, e questo ha portato i ragazzi a interrogarsi, come Anouilh e Brecht, ma naturalmente senza azzardare paragoni, su alcune questioni fondamentali: per che cosa vale la pena vivere? Per che cosa vale la pena morire? Che cos’è la giustizia? Quando una legge ingiusta e quando la si può trasgredire? Un esempio: nella prima parte Polinice chiede il rispetto delle leggi, mentre nella seconda parte Antigone, per difenderlo, chiede al contrario che vengano trasgredite.
Un dubbio, quelli tra i decreti dei governanti e le leggi non scritte e incrollabili degli dèi, che Sofocle non scioglie: è più giusto disobbedire allo Stato, mettendone a rischio l'equilibrio, oppure ignorare i principi non scritti, offendendo in questo modo la pietas umana?
Sono 2'500 anni che ci chiediamo se Creonte abbia ragione o no. Le tragedie propongono dilemmi irrisolvibili ed è per questo che, a seconda del tempo e delle stagioni, possiamo servircene per interpretare il presente. Quando ci riferiamo ai testi antichi adoperiamo indifferentemente la parola ‘attuale’ e la parola ‘contemporaneo’, invece ‘attuale’ è quasi il contrario di ‘contemporaneo’: noi non abbiamo fatto nel modo più assoluto un lavoro di attualizzazione, ma di contemporaneizzazione. I classici sono contemporanei, non sono attuali, perché stanno in tutti i tempi, stanno con il tempo, mentre l’attualità sta in un tempo.
A proposito di contemporaneità, quella di Antigone è anche la storia di una sepoltura controversa: immagino che i gli attori abbiano dovuto riflettere sulle difficoltà a seppellire i morti per covid nel nord Italia durante il primo periodo della pandemia.
In effetti ne abbiamo parlato molto, perché in compagnia abbiamo due ragazze bergamasche. In una società che tende a rimuovere la morte, questi ragazzi hanno mostrato invece un bisogno estremo di rapportarcisi, di capirci qualcosa, partendo fisicamente dall'esperienza della morte. Un monologo dello spettacolo affronta proprio questo tema.
Fino a che punto i testi di Euripide e Sofocle sono stati interpolati con questi interventi dei ragazzi?
Ne abbiamo inseriti parecchi. Alla fine la cosa sconvolgente è che il pubblico si ricorda di più i testi dei ragazzi, perché Euripide e Sofocle li diamo per acquisiti e li usiamo per fare scaturire i testi della contemporaneità.