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Volto falso, emozioni vere

‘Another Body’, storia di una vittima di deepfake a sfondo sessuale, da cui il dibattito con Paolo Attivissimo e Bruno Giussani

Dal film di Sophie Compton e Reuben Hamlyn
26 ottobre 2023
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Qual è l’impatto delle tecnologie digitali sui diritti umani? Nel tentare di rispondere a questa domanda, o almeno di riflettere sul tema, di solito si pensa alla libertà di espressione che questi strumenti garantiscono, dando al contempo ai governi nuove possibilità di sorveglianza e di repressione; si pensa alle accresciute possibilità di condividere informazioni e notizie, unite ai problemi di una disinformazione altrettanto capillare e che rende sempre più difficile fidarsi dei media; si pensa ai rapidi cambiamenti sociali ed economici che migliorano la vita di alcuni ma rischiano di penalizzare larghe fasce della popolazione. Il Film festival diritti umani di Lugano ha tuttavia voluto dare spazio a un altro punto di vista, meno evidente perché in gran parte nascosto: quello dei contenuti pornografici creati grazie all’intelligenza artificiale.

La grande maggioranza dei video deepfake, nei quali algoritmi di “deep learning” alterano le immagini corporee e facciali ad esempio sostituendo i volti delle persone in un video, sono infatti a carattere pornografico. A subire questo trattamento non sono solo celebrità ma anche persone comuni. Come Taylor Klein, la giovane laureata in ingegneria protagonista del documentario ‘Another Body’ di Sophie Compton e Reuben Hamlyn proiettato mercoledì al Cinema Corso e seguito da un interessante dibattito con Paolo Attivissimo e Bruno Giussani.

Un esercizio di empatia

‘Another Body’ racconta la storia di Taylor Klein, di come ha scoperto decine di video deepfake caricati su popolari piattaforme pornografiche nelle quali era chiaramente indicato il suo nome, la città dove è nata e il college dove si era diplomata. Racconta dell’inerzia della polizia – perché non ci sono leggi specifiche e perché online è facile, per chi ha un minimo di conoscenze tecniche, non lasciare tracce –, di come ha trovato altre ragazze verosimilmente vittime della stessa persona, di come alla fine attraverso alcuni forum online dedicati allo scambio di immagini deepfake siano riuscite con ragionevole certezza a identificare l’autore di quei deepfake, un amico e compagno di studi con il quale si erano interrotti i rapporti dopo i primi anni di college.

‘Another Body’ racconta soprattutto che cosa significa aprire un sito porno e trovarsi di fronte a se stessi, guardare negli occhi il proprio volto su un altro corpo. Per rispetto non si entra nei dettagli del disagio di Taylor Klein, ma i sintomi sono quelli del disturbo post-traumatico da stress. Perché – è uno dei punti emersi con chiarezza durante il dibattito con Attivissimo e Giussani – siamo di fronte a un vero e proprio atto di violenza, un abuso sessuale per quanto non fisico.

Grazie a un uso attento dei videodiari realizzati dalla stessa Taylor Klein insieme a ricostruzioni digitali e animazioni, ed evitando attentamente ogni immagine sessualmente esplicita, ‘Another Body’ aiuta lo spettatore se non a capire, almeno a immaginare che cosa può provare chi subisce una simile violenza. Le ricerche per identificare l’autore dei deepfake non sono un’indagine poliziesca, ma fanno parte del percorso che lei e le sue amiche intraprendono per cercare di superare la violenza subita e riprendere il controllo della propria vita e della propria identità. Ciononostante, un po’ di amarezza rimane, nel vedere l’uomo cavarsela con un semplice ammonimento informale da parte della polizia.

Un problema tecnologico, giuridico e sociale

Sarebbe riduttivo pensare che quello dei deepfake pornografici sia semplicemente un problema tecnologico. Gli algoritmi che permettono di proiettare il viso di Taylor Klein sul corpo di un’attrice pornografica – ammesso che i video di partenza non fossero a loro volta privati, aggiungendo violenza alla violenza –, permettono anche di proiettare il viso di un’attrice sul corpo della vera Taylor Klein, nascondendone l’identità ma mostrandoci tutta la ricchezza e l’autenticità delle sue emozioni. Fino a pochi anni fa l’unica soluzione disponibile era oscurare od offuscare il viso delle vittime, disinnescando la forza emotiva della loro testimonianza e lasciando una vaga impressione di clandestinità. La stessa tecnologia che ha ferito Taylor Klein ne protegge anche l’identità e la dignità.
Non si vuole con questo adottare la visione un po’ ingenua della neutralità della tecnica, perché questi algoritmi sono stati sviluppati all’interno di una comunità quantomeno irresponsabile, non a caso quasi esclusivamente maschile e abituata a essere in posizione dominante.

Non siamo nemmeno di fronte a un problema prettamente giuridico: certamente è utile introdurre delle leggi specifiche – e dare alle forze dell’ordine gli strumenti per attuarle oltre che per tutelare le vittime ad esempio rimuovendo in tempi rapidi questi contenuti –, ma sarebbe ingenuo pensare che basti introdurre un “reato di deepfake” per far sparire il fenomeno.

E qui va fatto evidenziato un altro punto di forza di ‘Another Body’. Il documentario racconta il vissuto delle vittime, le difficoltà che hanno incontrato nel parlare dell’accaduto, nel rendere pubblico quanto è successo, il modo in cui hanno affrontato e, almeno in parte, superato il trauma. Ma racconta anche, e tutto sommato con pari rispetto, il percorso dell’autore di quella violenza: l’ambiente tossico e maschilista delle scuole di ingegneria, un disagio psicologico che si trasforma in odio e risentimento verso chi gli ha apparentemente voltato le spalle, il desiderio di vendetta che trova facile soddisfazione in comunità online dove l’umiliazione delle donne è normalizzata e auspicata. L’esercizio di empatia di ‘Another Body’ non riguarda solo le vittime di abusi, ma anche l’autore di questa violenza virtuale: non per minimizzare le sue colpe e responsabilità, ma per aiutarci a comprendere i molti aspetti di un fenomeno che va affrontato nella sua complessità.