Ospite di Babel, in conversazione con Fabio Pusterla, il poliedrico regista e artista tedesco ha raccontato la sua opera letteraria
Il Teatro Sociale di Bellinzona, il Festival di Letteratura e traduzione Babel, hanno ospitato una delle figure più importanti del cinema e non solo. Werner Herzog e i suoi scritti, in particolare ‘Sentieri nel ghiaccio’, ‘Il crepuscolo del mondo’ e qualche estratto da ‘Incontri alla fine del mondo’ e dall’autobiografia appena uscita, dal titolo ‘Ognuno per sé e Dio contro tutti’. Tra mitologia, storia, aneddoti personali ed esterni, filosofia e ragionamenti, un’occasione imperdibile di riflessione sulla vita e sulla letteratura, quella di sabato scorso, con un grande esploratore dell’arte, in un dialogo tra poeti.
Proprio dai suo scritti inizia Werner Herzog, uomo controcorrente, dall’immenso bagaglio culturale, serio ma che sa essere anche divertente e spensierato: “Credo che arriveranno (i miei scritti) più lontano, dopo di me, del mio cinema. Siccome trovo la scrittura una forma di espressione più personale e diretta, quando si scrive si è soli nella propria intimità. Nonostante sia anche il punto di partenza per qualsiasi film, ho sempre inteso la sceneggiatura come testo letterario autonomo, anche per questo invito con forza a non adattare: bisogna lasciare in pace Dante, lasciare in pace i testi, perché la letteratura non serve a fare i film. Il mio approccio è quello di cercare di raccontare e scrivere la realtà. Ad esempio, la mia autobiografia finisce nel bel mezzo di una frase, forse in maniera pedante, con un “come se…”: anche se la versione italiana ha aggiunto i tre punti di sospensione, questa scelta deriva dal fatto che, quando la scrissi, il mio pensiero si troncò, e così è rimasto. ”
Nel suo primo libro, ‘Sentieri nel ghiaccio’ (1978), Herzog ripercorre il suo cammino da Monaco a Parigi per andare a trovare l’amica, critica e scrittrice tedesca Lotte Eisner, al tempo malata.“Venuto a sapere della malattia di Lotte – dice – una sorta di superstizione mi convinse che se fossi riuscito ad arrivare a piedi a Parigi, lei sarebbe in un qualche modo sicuramente sopravvissuta. Un percorso di 85 km che mi ha insegnato molte cose: molti scrittori sono camminatori, alcuni impazziti, e credo che il mondo si riveli ai viaggiatori a piedi, permettendo loro di leggerlo e afferrarlo. Tutto ciò mi ricorda il calciatore italiano Baresi, difensore con una grande visione del campo e che, analogamente, gli permetteva una totale lettura del gioco. Persi addirittura la padronanza del linguaggio, ad esempio le dissi “cuciniamo un fuoco e fermiamo un pesce”; in un mondo che si sta deteriorando e in cui la protezione della natura e degli animali è importante per l’opinione pubblica, mi spaventa di più la lenta e silenziosa morte, sicuramente anche meno coperta dai media, della cultura e del linguaggio. È un discorso più antropologico, perdiamo silenziosamente cultura, tradizione e lingue, che sono beni e modi di esprimere noi stessi e il mondo”.
Ne ‘Il crepuscolo del mondo’ (2021), Herzog racconta Hiroo Onoda, soldato giapponese rimasto a combattere per 27 anni dopo la fine della guerra, in relazione al concetto di verità: “L’imperatore giapponese mi invitò a incontrarlo, ma io, che non avevo niente da dire o domandare, incontrai invece Hiroo Onoda. Egli studiava le strategie degli animali per confondersi nella giungla, un paesaggio con un’aura di pericolo e morte, ed è stato prigioniero della storia. Ripenso a migliaia di anni fa quando la storia nemmeno esisteva, come le pitture nelle grotte di Chauvet che descrissi in un documentario, in cui l’unica figura antropomorfa aveva un iconografia inusuale rispetto a quella a cui siamo abituati. Picasso, che ignorava l’esistenza delle grotte, dipinse un iconografia antropomorfa simile, non riesco a non pensare che ciò derivi da una sorta di memoria collettiva. La società è come un iceberg sopra a un oceano di caos e tenebre, non sappiamo il futuro e nessuno può dire con certezza che cos’è la verità, ed è buono, credo nell’atto di modificare i fatti tanto da renderli più veri della realtà: ad esempio, citai Pascal in ‘Lessons of Darkness’ (1992) scrivendo che ‘il collasso universale, come la creazione, avverrà in grande splendore’. Questa frase alza il livello del discorso, ma è in realtà mia. E credo che Pascal non avrebbe saputo dirla meglio”.