Secondo capitolo della fusione CheRoba & Il Fiato delle Alpi, anche dal vivo: il 2 settembre a Giornico, il giorno dopo a Castagnola
“Unendo al jazz, al folclore e alla musica colta elementi di improvvisazione, Marco Santilli fa della versatilità la sua nota distintiva”. “Gioca con le parole e con i suoni (…) per creare un personalissimo meta-linguaggio, che sollecita l’ascoltatore attento a individuare le fonti su cui il compositore fonda l’ibridazione musicale”.
Raramente le note introduttive di un cd sono così centrate. Sarà che Gianna A. Mina di opere d’arte ne ha viste a sufficienza, la direttrice (fino al primo di novembre) del Museo Vincenzo Vela di Ligornetto riassume così i contenuti di ‘Sujazzstiva’, il secondo capitolo del Marco Santilli’s CheRoba & Il Fiato delle Alpi, sei anni dopo il prezioso libro dei ricordi intitolato ‘La Stüa’, che l’Internationales Musikfestival Alpentöne commissionò. «È ancora il quintetto di fiati classico, tipico, al quale ho voluto conferire altre tinte», ci spiega Santilli. «Faccio suonare strumenti dal timbro più grave, l’oboista suona il corno inglese, la flautista il flauto contralto e la clarinettista dell’ensemble il clarinetto contrabbasso. Io, come clarinettista, resto parte del quartetto jazz CheRoba». Detto con nomi e cognomi: Isabell Weymann (flauti), Davide Jäger (corno inglese e oboe), François Rieu (corno), Alessandro Damele (fagotto), Azra Ramić (clarinetto contrabbasso), Julio Azcano (chitarra), Marina Vasilyeva (pianoforte) e Fulvio Maras (percussioni). E il Santilli ai clarinetti.
Anche il nuovo disco, uscito a gennaio nella sua forma digitale e adesso anche in quella fisica, qualche ricordo d’infanzia lo contiene, ma legato in questo caso a storie della Svizzera italiana, più o meno vicine, per la maggior parte tratte dai quattro volumi ‘Il meraviglioso. Leggende, fiabe e favole ticinesi’ (Dadò), fatte proprie o ‘concesse’ alla musica. «Alcune mi hanno ispirato la musica, altre, per la musica, erano già pronte». Il viaggio sull’asse nord-sud del primo disco, legato a quelle zone dal Santilli abitualmente frequentate, è ora ampliato, appunto, a favole e leggende, l’elemento folk di ‘Sujazzstiva’, sempre nel mantenimento del legame con le ‘cose’ popolari.
Gianna A. Mina definisce Santilli un “pendolo creativo”; a noi piace pensare ai pendoli dei rabdomanti, che se ne vanno un po’ dove credono. E quindi si va dalle cinematografiche ‘Curéija du drèisc’ (ispirata a ‘Il drago del Lago Retico’) a ‘Cose svizzere notturne segrete’ (da ‘I gobbi della Piumogna’) – e dunque da echi di Morricone ad altri, più marcati, di Nino Rota – alla bella ‘Dauer der Ewigkeit’ (da ‘La durata dell’eternità’), che a noi chiama Gershwin e ad altri, più esaustivamente, “Gershwin che incontra Schönberg”. «Sì – dice Santilli – sono le influenze che inevitabilmente emergono, ma è anche il mio sforzo di realizzare pezzi sempre l’uno diverso dall’altro, con il suono a fare da filo conduttore». Così è. Come «nel ‘White Album’ dei Beatles, dove non c’è un pezzo uguale a un altro», cosa che detta oggi pare un’eccezione, e il Santilli ben sa che un tempo era la regola.
L’ascolto dell’opera porta – dedicata dall’autore a un amico di Bidogno – ad ‘Ale.com’ (che arriva da ‘Il diavolo e la bugia’), sino alla bella ‘Sana follia’ (portata da ‘La strega della Biaschina’) e a ‘Zu Erich - Una possibile storia di Zurigo’ (ispirata da ‘I tre santi di Zurigo’), dall’inizio schizoide che vien da chiedersi CheRoba si sia fumato Santilli (roba buona, comunque). Chiude la medievale ‘The Way to Lothriel’, nata dal tema del videogioco ‘Eselmir e i cinque doni magici’, nato a sua volta dalla saga dei Pirin dello scrittore e artista svizzero Sebastiano B. Brocchi. E il gioco di parole e suoni è concluso, e il meta-linguaggio creato.
‘Sujazzstiva’ toccherà Giornico il 2 settembre alle 20.30 nella Chiesa di San Nicolao, e Castagnola il giorno dopo, alle 17 nella sala dell’ex Municipio per Ceresio Estate. «Pensando al concerto di Castagnola – conclude il musicista – ci siamo detti perché non fare tappa anche a nord», in quel tragitto che è del primo album. «A Giornico sono cresciuto, la chiesa romanica è tanto bella, anche per questioni di acustica». Quello di Giornico è dunque «un cerchio che si chiude», anche per l’essere stato, il concerto nella medesima sede, l’anteprima dell’Alpentöne, anno 2015.
Il disco ha la storia comune a tanti manufatti artistici del passato prossimo, quell’essere pronti prima della pandemia, anche solo come idea o progetto (la registrazione era programmata per il marzo del 2020) e costretti al rinvio. Per chi i cd continua a comperarli, il booklet è ricco, l’oggetto è tangibile, l’esperimento ripetibile, come tutto quanto ha valenza scientifica.
L’album