L’ultima fatica dell’acclamatissimo regista è in sala e corona uno stile approfondito in anni di ricerca filmica, qui di ritorno al suo apice
Dopo la machiavellica e macchinosa sceneggiatura di ‘Tenet’, che ha probabilmente lasciato confusi molti, Christopher Nolan torna in sala con un grande film che sembra essere il culmine di un lungo viaggio di ricerca, banalizzando, su questioni metafisiche, temporali e, qui più che mai, umane. Una formula vincente, quella di scardinare la linearità e quindi la narrazione, iniziata con ‘Memento’, film che va a ritroso nel tempo e con cui questo ‘Oppenheimer’ condivide elementi della struttura: in particolare, anche qui ci sono tre livelli di narrazione, dove il primo è la biografia del celebre personaggio, il secondo è il suo successivo “processo” a porte chiuse, mentre il terzo racconta Lewis Strauss e in particolare l’inchiesta riguardo la sua carica di Segretario al Commercio, poi respinta.
Nonostante il film sia di fatto un biopic non ci si deve far ingannare dal genere e chiunque creda di andare ad assistere a una biografia di ben tre ore rimarrà, piacevolmente, deluso. ‘Oppenheimer’ non è solo una biografia, è una critica intelligente allo Stato e al suo meccanismo interno, alla politica, in un miscuglio tra passato, presente, futuro e immaginario. Un’opera nel senso stretto del termine, incompletabile con una singola visione e non a causa di complessità della trama, che a parte la difficoltà nel districarsi dai legami dei tantissimi personaggi e dai procedimenti processuali, risulta anzi piuttosto chiara; bensì per la stratificazione del prodotto stesso, dalle interpretazioni magistrali di un cast stellare, passando per la cura visiva tipica di Nolan e, toccando un certo numero di argomenti legati, fino ad arrivare a un messaggio pessimistico riguardo al punto di non ritorno, presumibilmente superato, degli ordigni nucleari.
J. Robert Oppenheimer è il talentuoso fisico che, come è noto, fu a capo del progetto Manhattan riguardante l’invenzione della bomba atomica, successivamente sganciata su Hiroshima e Nagasaki, dettando contemporaneamente la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio della Guerra Fredda. Chiamato dagli amici Oppie, è un giovane studente universitario, ebreo, ostracizzato e con problemi legati a depressione e crisi d’identità, tuttavia coglie una sorta di mondo nascosto, una dimensione a metà tra gli astri, quindi lo spazio, e le particelle, quindi il microscopico. Accademico formidabile, poliglotta e studioso dell’arte, Robert approfondisce le proprie competenze, fa conoscenze del calibro di Niels Bohr e Albert Einstein, altalenando un interesse politico che lo lega a membri del partito comunista, senza che voglia però mai farne parte.
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Cillian Murphy ed Emily Blunt durante le riprese
Non senza difficoltà, il fisico viene quindi messo a capo del progetto Manhattan dal luogotenente Groves e, insieme ad altri fisici e matematici di rilievo, presso l’apposito sito costruito a Los Alamos, metterà a punto l’ordigno che cambierà le forze in gioco per la lotta al potere tra gli Stati. Quindi le conseguenze ai bombardamenti del Giappone e il suo martirio, che al tempo stesso funge da capro espiatorio per la Commissione di Sicurezza e per Lewis Strauss, proseguono il ritratto di un uomo sempre più timorato, convinto di aver segnato l’inizio della reazione a catena che distruggerà la nostra specie.
Un montaggio sonoro impareggiabile ci introduce fin da subito in un film soppesato e dal ritmo quasi perfetto, molto più freddamente rispetto, ad esempio, a un ‘Beautiful Mind’, ma portando sul piatto emozioni più personali per lo spettatore, che non scaturiscono quindi dalle ormai classiche immagini facili. Il film è sostanzialmente diviso in due dal test Trinity, il primo test dell’atomica, la di cui esplosione è gestita in maniera incredibile, sotto gli occhi di militari e scienziati che assistono come bagnanti in spiaggia, con tanto di creme e occhiali da sole. Questo è solo uno dei tanti incontri tra l’intellettualità liberale e l’ignoranza conservazionista, in cui nessuno esce vincitore o sconfitto, anzi rimane una sospensione, come quella che si crea nella mente di Robert quando, già dilaniato come molti dalle contraddizioni etico-morali, assiste alla folla che lo acclama, incitandola con le classiche parole, come in un corteo populista o addirittura in uno stadio.
Ritorno per Nolan a un protagonista profondamente umano, contraddittorio in quanto tale e che si scopre pian piano nella sua intimità, manipolata dai suoi superiori e che lo porta a stare costantemente in bilico tra l’ignavia e la presa di decisione. Tra i tantissimi personaggi, oltre allo straordinario Cillian Murphy, non si può non notare la performance, tra gli altri, di Emily Blunt, Robert Downey Jr e un quasi inaspettato Matt Damon nei panni del luogotenente Groves. Uso interessante anche del bianco e nero che ricalca e contrappone il grigio della vita di Strauss, come in ‘Memento’, in cui questo livello parallelo è costituito dalla telefonata del protagonista Leonard a uno sconosciuto.
Prosegue dunque il viaggio metafisico in cui Nolan ci ha iniziati e che qui, giocando sia col tempo della narrazione sia con le implicazioni presenti (e future) che questa ha, trova uno dei suoi apici, scartando la maestosità delle stelle e della fantascienza per ritornare a un livello più umano, senza annoiare mai, nemmeno in quello che è il suo film più lungo finora.
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Il regista Christopher Nolan