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‘Victor, Victor! Qu’est-ce que tu as fait!’

‘Il principe. La vera storia di Vittorio Emanuele’. Quarantacinque anni dopo la morte del fratello Dirk, il libro di Birgit Hamer è una docuserie

‘Non è stato il mio fucile’
(Keystone)
19 agosto 2023
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“Mia madre me l’aveva detto, perché le piaceva tanto giocare a carte da sola. ‘Ti tiro le carte, vediamo se sarai re’. Ma non ci ho mai creduto. Difatti… Mi scusi, ma mi fa ridere”. Risata grassa, un po’ isterica. Così Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli (nome completo: Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria) riassume la disillusione di un erede al trono che rimase tale, causa esilio di famiglia. E così si apre ‘Il principe’, su Netflix, documentario di Beatrice Borromeo che riassume i 45 anni di battaglia di Birgit Hamer, sorella di Dirk, il 19enne che in una notte d’agosto di 45 anni fa venne colpito alla gamba da un proiettile che Vittorio Emanuele di Savoia ha sempre negato sia partito dalla sua arma.

‘Per vedere i Savoia’

Il 17 agosto del 1978, una ventina di rampolli di buone famiglie italiane lascia Porto Rotondo a bordo di tre imbarcazioni, destinazione Isola di Cavallo (con l’accento sulla ‘o’ perché in Corsica). Gli amici Massimo Tosato e Giovanni Malagò (oggi presidente del Coni), i single della comitiva, invitano a bordo la 15enne Birgit Hamer, figlia del medico ideatore dell’omonimo e almeno contraddittorio ‘Metodo’; la giovane modella tedesca ottiene dalla madre l’ok all’escursione a patto che ci sia con lei il fratello maggiore Dirk. Assai diverso dai componenti della comitiva, il ragazzo ne diventa il beniamino in poco tempo.

A Cavallo, in quegli anni, si attraccava perché “era il top” e “per vedere i Savoia”, dicono i testimoni. Chiassosi e festaioli per loro stessa ammissione, Vittorio Emanuele li accoglie alzando onde non proprio di benvenuto col suo motoscafo. È il primo incontro tra i reali esiliati e i vacanzieri; il secondo avverrà al Restaurant Des Pecheurs, dove le teste coronate sono a tavola per la cena e gli italiani anche, perché il mare si è ingrossato e non potranno tornare in Sardegna prima dell’indomani. Di quel secondo incontro, Marina di Savoia, moglie dell’erede al trono, ricorda gli sberleffi subiti; gli italiani ricordano, provenienti dal tavolo reale, gli apprezzamenti poco lusinghieri sul fatto di essere italiani. C’entrerebbe il fatto che i giovani, per raggiungere il ristorante, si sono serviti del gommoncino del figlio, Emanuele Filiberto.

‘In fondo, in Corsica, c’è sempre pericolo’

A mezzanotte, divisi tra le tre barche, i giovani italiani già dormono; un uomo alla guida di un gommone a motore si avvicina loro gridando “italiani di merda vi ammazzo tutti”, dice Birgit; il playboy Nicky Pende, nell’intervista del giorno dopo, riassume quel che seguirà: “Questa figura, in piedi sul canotto, ha cominciato a dire frasi deliranti, minacce. Aveva un’arma; ho visto l’occhio del fucile in linea con la mia faccia e mi sono gettato a terra. Poi ho sentito due colpi in rapida successione, sopra la testa, e ho provato a fare l’unica cosa che ritenevo logica: buttarlo in mare, per renderlo inoffensivo”. Poco dopo, raccontano i testimoni, un’auto raggiunge il porto e una voce di donna grida: “Victor, Victor! Qu’est-ce que tu as fait! Qu’est-ce que tu as fait!”.

Uno dei colpi esplosi ha colpito Dirk Hamer, il cui calvario terminerà il 7 dicembre. “In fondo, in Corsica c’è sempre pericolo. Sì, ho preso una carabina”, dirà Vittorio Emanuele a Enzo Biagi una volta lasciato il carcere di Ajaccio, in attesa del processo in Francia. Avrebbe sparato un colpo in aria, e un secondo sarebbe partito durante la colluttazione con Pende, colpendo per pura fatalità il giovane tedesco. Gli avvocati difensori del principe, in seguito, sposteranno l’attenzione sull’arma regolarmente detenuta da uno dei giovani, nascosta da un amico per scongiurare lo scontro a fuoco, ritrovata il giorno dopo i fatti dalla Guardia costiera e sequestrata. Una volta assolto dalla giustizia francese, il principe potrà dichiarare “non è stato il mio fucile”. Anche di fronte alla (sempre negata) ammissione di colpa, intercettata ventotto anni più tardi e che lasciamo a chi vorrà guardare.

‘Qualcuno vuole uno champagnino?’

La scena del crimine è bene apparecchiata ne ‘Il principe’. Prima degli spari, Borromeo – che ben seleziona testimonianze e punti di vista e li affida al giudizio di chi guarda – ci porta nella Cavallo del ’78 grazie all’archivio di famiglia dei Savoia, panoramiche di mare e spiagge e, sullo sfondo, la Sardegna, motivo di struggimento: “Mi son sempre chiesto perché non potessi andarci. Era lì”, dice l’ex esiliato.

Oltre al principe di Netflix, ce n’è un altro in libreria. ‘Il principe. La vera storia di Vittorio Emanuele’ (Aliberti), con prefazione di Borromeo e postfazione di Gianni Barbacetto, è la riedizione di ‘Delitto senza castigo’, che Birgit Hamer pubblicò nel 2011. In streaming, un po’ come Wanna Marchi nel suo documentario, il principe di Napoli pare non avere nulla da rimproverarsi. “Qualcuno vuole uno champagnino?”, chiede alla fine di tutto, per stemperare la tensione. E mentre si lancia in ricordi d’infanzia – di quando lui e Juan Carlos andavano “a sparare ai barattoli nel mare”, o di quando “Juanito ha fatto un casino”, riferendosi al fratellino Alfonso – purtroppo o per fortuna già scorrono i titoli di coda.

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