Sulla Croisette

Un immenso Kaurismäki illumina Cannes

Ci sono giornate in cui guardi il cielo e scopri di giorno le stelle: ‘Kuolleet Lehdet’ del regista finlandese scorre come un fresco torrente di poesia

Aki Kaurismäki, cineasta finlandese
(Keystone)
23 maggio 2023
|

Ci sono giornate in cui guardi il cielo e scopri di giorno le stelle: succede anche che in una sala cinematografica, come per magia scorra un film che è torrente fresco di continua poesia, ed è questa cosa rara in un tempo come il nostro che coniuga film e commercio, economia e cinematografia. Ma irrompe questo torrente e il pubblico se ne accorge, e mentre termina la proiezione esplode in urla di gioia, applausi ed emozionate lacrime intrattenibili di fronte a tanta bellezza.

Il degrado del mondo del lavoro

E sono stati 25 minuti intensi quelli che hanno celebrato ‘Kuolleet Lehdet’ (‘Le foglie morte’) di un irresistibile Aki Kaurismäki. Tutto è cominciato con la sua salita sul tappeto rosso del Palais: ha giocato con i fotografi, ha preso bellamente in giro uno spaesato Thierry Frémaux, direttore del Festival, ridicolizzandolo in diretta sullo schermo della sala, mai così divertita; poi, entrato in sala, prima che le luci si spegnessero, non ha esitato a giocare con i suoi attori.

Lo schermo si è allora acceso mostrando due persone sole (Alma Pöysti e Jussi Vatanen) che si incontrano per caso nella notte di Helsinki e cercano di trovare il primo, unico e definitivo amore della loro vita. Non è tutto, vediamo lei lavorare in un supermercato ed essere licenziata insieme alla sua miglior amica perché dai cibi scartati nel bidone delle immondizie ne avevano preso una razione. Lui lavora in un cantiere ed è alcolizzato, come tanti suoi compagni di lavoro; ha un amico che ha una bella voce, e una sera, con l’amico che canta in uno squallido bar, vede lei prima di ubriacarsi. Lei trova un lavoro in nero come lavapiatti in un altro squallido bar, ma il giorno di paga il proprietario viene arrestato per spaccio di stupefacenti.

Si incontrano ancora, vanno a mangiare insieme, vanno al cinema per un film di zombies ‘The Dead Don't Die’ di Jim Jarmusch – il film di Kaurismäki è ricco di rimandi cinematografici: nei tanti manifesti che mostra, nella scelta di riprese care a Ozu, richiamando ancora a Bresson, Godard –, all’uscita dalla sala lei dona a lui il proprio numero di telefono, peccato che subito e maldestramente lui lo perda. Lei trova lavoro come operaia in una fonderia, lui viene licenziato perché ubriaco, e la stessa cosa gli succede con un nuovo lavoro in un cantiere edile. Si incontrano ancora cercandosi alla porta del cinema, lei lo invita a casa, sembra andare tutto bene, ma lui non rinuncia ai suoi liquori e lei, che ha visto morire padre e fratello alcolizzati, lo caccia… Sono operai e il loro mondo maledetto è quello, un mondo di chi aspetta un’occasione per uscire dalla melma magari con un briciolo d’amore.

Inutile dire che interpreti e comprimari sono semplicemente strepitosi, inutile dire che il film è una continua canzone fino alle ‘Les feuilles mortes’ di Jacques Prévert e Joseph Kosma, inutile dire infine della maestria e della profondità poetica, politica e sociale di Aki Kaurismäki, capace di un’altra dura denuncia. Oltre ad aver mostrato il degrado del mondo del lavoro, il regista mostra il generale disinteresse alla loro drammatica situazione, ai media serve la guerra in Ucraina per riempire palinsesti e pagine, chi combatte sul campo di lavoro è sempre un perdente. Grazie mitico Kaurismäki.

Ancora in Concorso

In Concorso con questo grande ‘Kuolleet Lehdet’ si è visto un altro interessante e ben girato film: ‘Anatomie d’une chute” di Justine Triet. Il film di grande potenza racconta un caso giudiziario che implica il peso della realtà e della finzione, investendo le più intime e sgraziate pagine di una storia d’amore che si trasforma in rancore. Un film che non cerca verità, ma che lascia affondare ogni detto e ogni visto nella significanza del supporre, un film che – raccontando di una donna che sembra aver ucciso il marito, un figlio presente ma non vedente – narra un processo cinematografico, analizza il dire di una finzione, cosa c’è di vero in un film, in un racconto, nel dire di vivere? Applausi meritati per Justine Triet e il suo ‘Anatomie d'une chute’.


Keystone
La regista Justine Triet