Loreen è prima con ‘Tattoo’. Alle sue spalle Finlandia e Israele. Mengoni è quarto, la Svizzera di Remo Forrer chiude 20esima
“Come Riccardo Fogli nell’82”, si dice a Sanremo quando la vittoria è scontata. “Come la Svezia nel 2023”, si potrebbe dire in futuro all’Eurovision Song Contest (Esc). ‘Tatoo’, brano della svedese Loreen, ha vinto a Liverpool. È la seconda volta per la cantante, che vinse nel 2012 a Baku. Ed è la settima vittoria per il Paese degli ABBA. Come l’Irlanda.
Quella di sabato sera è stata un gara a tre fra Svezia, Italia e Israele, fino al sussulto prodotto dal televoto, capace di catapultare il ‘Cha Cha Cha’ del finlandese Käärijä al secondo posto, scalzando l’Italia di Marco Mengoni con ‘Due vite’, che ha chiuso quarta. Terza, Noa Kirel per Israele con ‘Unicorn’. La Svizzera di Remo Forrer, con la bella ‘Watergun’, ha chiuso solo ventesima.
La classifica finale
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Loreen, Svezia
Pseudonimo di Lorine Zineb Nora Talhaoui, Loreen è figlia d’immigrati marocchini di origine berbera. Salita all’attenzione del pubblico con la vittoria al talent svedese ‘Idol’, a Baku vinse con ‘Euphoria’, dopo una prima apparizione all’Eurovision l’anno prima, conclusa in semifinale. Apertamente bisessuale, in Azerbaigian l’artista denunciò le violazioni dei diritti umani in quel Paese. È ambasciatrice per il comitato svedese in Afghanistan e nel 2022 si è esibita a ‘Sverige samlas och hjälper’, evento in favore dell’Ucraina invasa.
Le note di ‘With A Little Help From My Friends’ erano echeggiate per tutto il sabato in strade e piazze della città dei Beatles, insieme al malumore del primo ministro britannico Rishi Sunak per il no all’intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky pronunciato da parte dell’European Broadcasting Union (Ebu), l’unione delle aziende radiotelevisive che organizza l’Esc, preoccupata per la politicizzazione del concorso (un ‘no’ comunque meno ipocrita della lettera di Zelensky letta da Amadeus a Sanremo a orari da panettiere).
La prima notizia della serata è che Marco Mengoni ha vinto il premio alla miglior composizione (una specie di Premio della Critica deciso, in questo caso, da chi la musica la compone). L’altra notizia è il ritorno del Lussemburgo, a partire dal prossimo anno. E un’altra ancora, che sapremo solo alle 23.30, è che Roger Taylor dei Queen è sul palco, a suonare la batteria per Sam Ryder, secondo a Torino 2022.
Roger Taylor (Queen)
La cronaca. L’atto conclusivo dell’Eurovision Song Contest si apre con la Kalush Orchestra: ‘Stefania’, che vinse a Torino un anno fa per l’Ucraina, è suonata da un rooster di musicisti in un video che include – al pianoforte, di blu vestita, dalle regali stanze – nientedimeno che Kate Middleton principessa del Galles. Il video si conclude dentro la Liverpool Arena, dove la musica continua, e il flusso sonoro che va dai Chemical Brothers agli Eurythmics, e ingloba apparizioni di ex partecipanti all’Eurovision (come i Go_A con la sempre splendida ‘Shum’) accompagna la sfilata ‘olimpica’ delle nazioni. Presentano sempre Hannah Waddingham, Alesha Dixon e Julia Sanina, ma con Graham Norton, storico commentatore di Eurovision per l’Inghilterra.
Kate Middleton, principessa del Galles
Apre ‘Chi diavolo è Edgar Allan Poe’ (‘Who The Hell Is Edgar?’), il caso di possessione letteraria di Taya & Salena con sberleffo alla discografia annesso: alle spalle delle due austriache, anche di sabato, appare la cifra 0.003, che è quanto paga Spotify agli artisti per uno stream della loro musica (ma in Rete c’è chi scrive che è molto, molto più alta: 0,004). Chiude la Gran Bretagna padrona di casa, con una cosa carina intitolata ‘I Wrote A Song’ (Ho scritto una canzone), titolo che apre a considerazioni sull’opportunità dell’azione, visto il penultimo posto. Peggio è andata alla Germania, ultima con ‘Blood and Glitter’ (‘Sangue e brillantini’), gli ultrarockettari Lord of the Lost da Amburgo, band gender fluid il cui atto veramente provocatorio è stato cantare ‘Due vite’ di Mengoni:
Oltre a Germania e Regno Unito, e a parte le prove registrate già fruibili per tutti sul Tubo, il mondo ha assistito alle esibizioni di altre tre Big Five (le nazioni che approdano di diritto in finale in quanto finanziatrici) e dell’Ucraina vincitrice a Torino. E dunque, la Francia cantava la bella ‘Évidemment’ con La Zarra, posta a metri da terra, in pizza a un piedistallo, in una cosa tra Édith Piaf, la discomusic di classe e l’inno francese; la Spagna cantava ‘Eaea’, l’electro-flamenco di Blanca Paloma piaciuto più alle giurie che al televoto; l’Ucraina dei Tvorchi cantava ‘Heart of Steel’, elettronico inno al sentirsi libero nelle proprie azioni, costi quel che costi. Esordiva anche l’Italia...
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Marco Mengoni, Italia
Accompagna la sua esibizione con una manciata di cenni, quel gesticolare italiano che a Torino fu oggetto di celebrazione, ma che a Liverpool ha un senso diverso. Fatta eccezione per l’arrangiamento, una cassa in quattro (mai invasiva) applicata alla strofa, la canzone è quella di Sanremo, e alla Liverpool Arena basta la riproduzione di una superficie lunare e due figure in azione sopra un tappeto elastico a rendere ‘Due vite’ potente come le ballad a volte possono essere, e notturna come un notturno di Chopin. E Marco Mengoni in ginocchio, alla fine dell’interpretazione, sopraffatto dall’emozione è la ragion d’essere del mestiere d’artista.
Con il quarto posto di Mengoni, dal 2011 a oggi – e cioè dal ritorno all’Eurovision dopo un’assenza durata quattordici anni – l’Italia piazza ogni anno una canzone tra i primi dieci. Fuori resta solo Emma, 21esima nel 2014. E non sapremo mai quale risultato avrebbe ottenuto ‘Fai rumore’ di Diodato se all’Eurovision non si fosse messo di mezzo il Covid.
Il podio, oltre ‘Tattoo’ (un’abile ma pregevole fusione di già ascoltato, dunque imbattibile), dice Finlandia seconda e Israele terza. Onore dunque al ‘Cha Cha Cha’ finlandese che inizia growl (“tecnica vocale tipicamente impiegata nei sottogeneri più estremi dell’heavy metal e dell’hardcore punk”, grazie Eurowiki) e finisce italo-disco, per il muscoloso Käärijä a un passo dalla gloria. E onore a Noa Kirel, israeliana che buca lo schermo e danza freneticamente su ‘Unicorn’. Fuori dal podio, onore ancor più alle sei Vesna, dalla Repubblica Ceca (‘My Sister’s Crown’, decima), momento vocale, visivo e di girl power tra i migliori ascoltati, visti, vissuti quest’anno. Menzione per l’impeccabile Gustaph, il Belgio amabilmente danzereccio di ‘Because Of You’. Menzione per il nostro Remo Forrer, ‘Watergun’, anch’egli impeccabile. Menzione alla Bbc per uno show senza mezza sbavatura.
Vesna, Repubblica Cechia
Menzione anche per i croati Let 3. ‘Mama ŠČ!’, a detta loro, non avrebbe connotazioni troppo politiche, e si limiterebbe a inneggiare alla pace invece che alla guerra. Però qualcuno nel titolo ci ha visto un ‘Madre Russia’ censurato, e nei versi “quel piccolo psicopatico” e “coccodrillo psicopatico”, il riferimento alla definizione data da Boris Johnson di Vladimir Putin (“Negoziare con lui – disse un giorno Bojo – sarebbe come trattare con un coccodrillo”).
Forse nulla, però, in questa edizione che si è fatta amare, supererà – per partecipazione nazional-britannico-popolare – l’olandese Duncan Laurence che in casa del Liverpool ha intonato ‘You’ll Never Walk Alone’, con tutti gli artisti sul palco. Compreso Roger Taylor (dal divano è tutto, a voi studio).