la recensione

Osi al Lac ‘… on ghett, on sbragalismo…’

Giovedì scorso si sono esibiti a Lugano l'Orchestra della Svizzera italiana, il Coro Clairière e Daletska con Besandella: ‘Splendide soliste’

La solista di tromba Serena Basandella
(© OSI / G. Corti )
23 aprile 2023
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“Manfred” (1885), Sinfonia in quattro quadri di Piotr Il’ič Čajkovskij (1840-1893); “Alfredo”, Suite per mezzosoprano, coro di voci bianche e orchestra di Oscar Bianchi (*1975), commissionata dall’Osi e in prima esecuzione assoluta. Giovedì sono andati in scena sotto la direzione di Markus Poschner, l’Orchestra della Svizzera italiana, il Coro Clairière diretto da Brunella Clerici, la mezzosoprano ucraina Christina Daletska, affiancata dalla solista di tromba Serena Basandella.

Le parti della Suite sono state intercalate ai quadri della Sinfonia, quasi due ore d’ascolto senza pausa, un impegno intrigante per l’ascoltatore. Assolvo un primo compito di recensore lodando la qualità delle esecuzioni. Splendide le soliste, Christina Daletska commovente: ha cantato fasciata da una bandiera ucraina, ma ha cercato d’andar oltre le contingenze della guerra in corso ed evocare tutti i diritti umani conculcati. All’altezza della sua fama l’Orchestra: ha saputo equilibrare perfettamente un pianoforte, due arpe, cinque percussionisti, venticinque fiati chiesti dalla partitura con solo trentacinque archi. Molto bravo anche il coro, comparso in scena due volte: prima, affacciato tra le quinte dietro i contrabbassi, poi ammucchiato davanti ai primi violini. Ovvio chiedersi se il palco della Sala Teatro non consentisse collocazioni migliori. Il Clairière, di fatto un coro femminile, con più di trenta ragazze, la maggioranza sopra i quindici anni, e ho contato solo quattro ragazzi. Con ogni rispetto per le nazioni come Germania e Inghilterra, che hanno ancora cori famosi di soli ragazzi, ammiriamo il lavoro di Brunella Clerici che mantiene in vita un coro giovanile in grado di esibirsi con formazioni professionistiche.

Centotrenta anni separano il “Manfred” di Čajkovskij dall’“Alfredo” di Bianchi e confesso che l’interesse per l’ascolto l’ho riservato quasi tutto all’“Alfredo”. Viviamo un’epoca, nella quale le conoscenze scientifiche, dalla gravitazione quantistica alla neurologia del cervello ci danno l’angoscia di una realtà che non è come ci appare. Mi sembra che Alfredo di fronte all’immensità delle cose che non sa riesca ad essere un uomo felice.

Non lo è Manfred, che erra sulle Alpi, sulle vette non trova come Goethe la quiete, ma solo tormenti esistenziali, rimpianti, pensieri di morte, tutti i temi della rivoluzione filosofica del primo romanticismo, messi in risalto dall’interpretazione impeccabile dell’Orchestra.

La distinzione fra classico e romantico, fra interpretazione classica o romantica, sembra essere chiara quando si parla di musica dell’Ottocento. Giovedì Markus Poschner e l’Orchestra hanno sorriso molto al pubblico, quasi avessero voglia di scherzare, il palco è sembrato il cortile d’una scuola durante la ricreazione: era un atteggiamento classico o romantico? Mi rimetto al poeta Carlo Porta (1775-1821):

“Fan tutt insemma on ghett, on sbragalismo,

ch’el par che coppen el Romanticismo”.