Cinema

Cannes, il grande ritorno di un'Arte ormai ignorata

Un inviolato tempio, con Thierry Frémaux sacerdote di una manifestazione che irride la laicità televisiva e di un mondo ormai legato a internet

Thierry Frémaux, direttore artistico
(Keystone)
16 aprile 2023
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Ha ragione ancora una volta Thierry Frémaux, l’unico grande direttore artistico di un Festival, Cannes 2023, 76esima edizione, che si aprirà il 16 maggio per chiudersi il 27 dello stesso mese. Sarà un Festival che celebrerà quest’Arte ignorata ormai che è il Cinema.

Cannes è inviolato tempio e Thierry Frémaux è il sacerdote di una manifestazione che irride la laicità televisiva e di piattaforme come Netflix, di un mondo ormai legato a internet, per cantare sacralmente la laude al Cinema, quello che celebra allegramente il piacere di stare insieme davanti a uno schermo che s’illumina raccontando infinite storie del nostro essere umani, favole che affondano la loro radice nel mondo delle commedie e nelle tragedie greche, per involarsi nel mitico dire di Griffith, Chaplin, Eisenstein, Dreyer, Ozu, e dei loro centenari epigoni.

Tra le Palme

Solo sulla Croisette, queste incredibili messe trovano la loro consistenza, essere Cinema, e basta scorrere la lista dei film diffusa per comprenderne la laica sacralità. E basta un nome, quello di Víctor Erice per tutto spiegare. Si tratta del terzo lungometraggio di questo infinito maestro, alieno al dire di piccoli schermi e che qui, fuori concorso, recita con ‘Cerrar los ojos’ la sua infinita poesia.

Già, perché Cannes raccoglie la poesia dell’essere cinema, lontano dal prosaico narrare letterario in prosa di tutto quel bailamme del nostro affollare onanistico schermi mai abbastanza grandi. E ritornando al dire di Thierry Frémaux, al suo cesellare nelle varie sezioni la bellezza dell’essere cinema, ecco che in un inusuale concorso si cantano le nuove messe di Aki Kaurismäki che dalla sua Finlandia ci porta ‘Kuolleet lehdet’, un film non solo atteso ma già necessario nel suo essere quella cosa ai più strana che è il cinema, quello che il laureato Nuri Bilge Ceylan ci riporta a conoscere con il suo ‘Kuru otlar üstüne’, lui che qui ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria nel 2003 per il film ‘Uzak’, il premio per la miglior regia nel 2008 per ‘Le tre scimmie’ e nuovamente il Grand Prix Speciale nel 2011 per ‘C’era una volta in Anatolia’, prima della Palma d’oro per ‘Il regno d’inverno’ (Winter Sleep) nel 2014.

Il solito Ken Loach ribadisce in ‘The Old Oak’ che lui di Palme d’oro qui ne ha già vinte due, nel 2006 per ‘Il vento che accarezza l’erba’ e nel 2016 per ‘Io, Daniel Blake’. E se solo questi tre film grondano di premi legati a un mondo della critica oggi esautorato da mille stelline e altrettanti abusati ‘mi piace’, che dire di quello che tutti ormai aspettano come evento epocale di questo Cannes, ovvero la Prima fuori concorso di ‘Indiana Jones and the Dial of Destiny’ di James Mangold, quinto capitolo della serie di Indiana Jones, il primo non firmato da Steven Spielberg, né con una storia scritta da George Lucas, sostituito dal nuovo regista, con lo stesso Spielberg e Lucas a far da produttori.

Per fortuna inossidabile resta l’ottantenne Harrison Ford e desta grande curiosità il vederlo ancora in azione.

‘La chimera’ svizzera

Ancora fuori concorso è il film d’apertura, il francese ‘Jeanne du Barry’ di Maïwenn con Johnny Depp nei panni di Luigi XV di Francia, Louis Garrel, Pierre Richard e Noemie Lvovsky. La regista, nel 2011, aveva vinto il premio della giuria proprio qui a Cannes con la sua terza opera, ‘Polisse’. Ancora in concorso registe come Catherine Breillat, che si presenta con ‘L’Été dernier’, Alice Rohrwacher con l’unico film svizzero in competizione, ‘La chimera’, e l’esordiente (a Cannes) Justine Triet con ‘Anatomie d’une chute’.

Attesissimi animali da Concorso sono Wim Wenders, che qui fu celebrato con ‘Paris, Texas’ e ‘Il cielo sopra Berlino’ e che torna con ‘Perfect Days’; e poi Nanni Moretti, qui premiato con ‘Caro diario’ e ‘La stanza del figlio’, di ritorno con il sospirato ‘Il Sol dell’Avvenire’; Marco Bellocchio con ‘Rapito’, un film atteso per le polemiche religiose che sono impresse nel suo dire; attesissimo è ‘Asteroid City’ per la regia di Wes Anderson, che tenta il suo primo premio sotto le pale di Cannes, cosa già riuscita a Hirokazu Koreeda, che nel 2018 con ‘Un affare di famiglia’ conquistò la Palma d’oro, e ora tenta di andare ancora a premio con il dramma scolastico ‘Kaibutsu’.

In e fuori concorso

Tra i diciannove film in Concorso ancora troviamo ‘The Zone of Interest’ per la regia del londinese Jonathan Glazer, ‘La Passion de Dodin Bouffant’ del regista vietnamita naturalizzato francese Trần Anh Hùng, già Leone d’Oro a Venezia nel 1995; ‘Jeunesse’ del cinese Wang Bing, del quale ‘Mrs. Fang’ vinse il Pardo d’oro al Locarno Festival 2017; ‘Firebrand’ del regista brasiliano Karim Aïnouz, che qui batte bandiera inglese; ‘Les Filles d’Olfa’ della regista tunisina Kaouther Ben Hania, già autrice de ‘L’uomo che vendette la sua pelle’, primo film tunisino a essere candidato all’Oscar per il miglior film internazionale; ‘Club Zero’ della regista austriaca Jessica Hausner; ‘Banel et Adama’ della regista senegalese Ramata-Toulaye Sy, che batte bandiera francese. A sottolineare la grande presenza femminile in competizione, ‘Anatomie d’une chute’ della francese Justine Triet.

Fuori concorso, anche il nuovo e imperdibile Takeshi Kitano con ‘Kubi’, e il nuovo documentario del premio Oscar Steve McQueen, qui con ‘Occupied City’. Non sono che titoli, e ce ne sono ancora molti: nella sezione ufficiale Un Certain Regard, per esempio, dove si annuncia una presenza di cinema innovativo e meno autoriale del solito, e se pensiamo che sulla Croisette arrivano anche i film della Quinzaine des Réalisateurs e quelli della Semaine de la Critique, riusciamo a capire come questo Cannes 2023 si chiuderà il 27 maggio con una piacevole indigestione di grande cinema su grandi schermi, con il piacere di tanti sconosciuti seduti vicini a noi capaci di emozionarsi con noi. E non è questo, infine, il Cinema?

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