La terza età di Haruf dal bestseller al teatro, storia di desideri e rimpianti, di un palco che si svuota e di due grandi attori
Quando uno spettacolo teatrale è tratto da un bestseller come ‘Our souls at night’ di Kent Haruf, già oggetto di un celebre adattamento cinematografico nel 2017, la sua messa in scena si carica di grandi aspettative da parte del pubblico. Entrando in sala non c’è nulla di nuovo, il sipario è alzato, l’allestimento sul palco rimanda all’estetica di quello che potrebbe essere un set cinematografico: diversi fari teatrali illuminano una stanza, tre pareti e una finestra, fedelmente riprodotta per simulare la camera da letto di un’anziana vedova del Colorado. Il retroscena è parzialmente visibile al pubblico e quello che sembra essere un tecnico si aggira indisturbato come ormai abbiamo visto fare spesso in questa stagione teatrale.
Lo spettacolo si apre in medias res con una telefona tra Addie Moore e il vicino Louis Water, entrambi più che settantenni e vedovi da diversi anni. Addie arriva subito al punto: propone a Louis quello che per gli abitanti della piccola cittadina di Holt sarebbe un comportamento indecente, ovvero passare le notti insieme a parlare, per tenersi compagnia nella solitudine. Stretto il patto tra Addie e Louis, i giorni e le notti si susseguono al ritmo incalzante della scrittura di Emanuele Aldovrandi che si è occupato dell’adattamento e della traduzione del testo originale. I dialoghi, credibili e convincenti, si alternano alla narrazione in prima persona suscitando grande partecipazione nel pubblico che ride e tifa per i due personaggi. La regia di Serena Sinigaglia, attraverso diversi codici teatrali, carica il testo di significato poetico: durante la notte la luce nella stanza si fa lieve ed è in quel tempo che avviene l’azione, i due personaggi dialogano, si conoscono, parlano del loro passato e costruiscono un nuovo presente, mentre però con i loro gesti disallestiscono, poco alla volta, la scenografia.
Addie, per raccontare a Louis della sua famiglia, toglie una ad una le fotografie appese alla parete, scoprendo gli aloni del tempo rimasti sulla carta da parati. Un’immagine così carica di bellezza che rende tangibile con pochi segni l’irreversibilità della vita. Terminata la notte, la luce dei fari teatrali filtra dalla finestra come un’alba, la stanza si scalda e inizia il racconto di ciò che avviene fuori: le loro emozioni, le chiacchiere maliziose del vicinato, il confronto con i figli, le prime uscite come coppia, l’arrivo del nipote di Addie per l’estate. Tra la stanza e il proscenio si alterna questa narrazione, l’atmosfera è inizialmente idilliaca, di riscatto; tuttavia, i gesti dei due personaggi li vogliono impegnati in una certosina attività premonitrice, quella di smontare e riporre con cura la scenografia: ogni cosa al suo posto. Finché il conflitto, dettato da forze esterne, raggiunge il suo apice e allora le pareti crollano senza far rumore e tutto quello che sentiamo è l’urlo di dolore di una donna che per l’ennesima volta deve mettere da parte la sua volontà per compiacere gli altri.
La verità che si nasconde dietro ‘Le nostre anime di notte’ è una storia di desideri e di rimpianti; per questo sul finale ci ritroviamo con un retroscena ora completamente visibile, una scenografia smantellata e tutto ridotto all’osso. Il gioco di luci e di ombre prosegue e ora l’occhio di bue illumina solo l’essenziale: Addie e Louis, il loro amore e il loro tenersi compagnia attraverso le parole fino all’unione delle loro anime. La bravura nell’interpretazione di Lella Costa ed Elia Schilton traspare dal loro nascondersi dietro a personaggi rotondi e sinceri, un regalo non sempre così scontato quando a calcare il palco ci sono attori famosi e con una grande carriera alle spalle.