laR+ L'intervista

Take 6, dieci Grammy per sei voci da favola

Lunedì 21 novembre ad Ascona, una sinergia Jazz Cat Club e ‘Tra jazz e nuove musiche’ di Rsi Rete Due, per un concerto già sold out

Alvin Chea, Joey Kibble, Mark Kibble, Claude McKnight, David Thomas, Khristian Dentley, lunedì 21 novembre al ‘Gatto’
21 novembre 2022
|

Si ascolterà una buona parte di storia dei Take 6 ad Ascona questa sera, con il Teatro del Gatto senza più una poltrona libera, pronto a ospitare il trionfo del ‘a cappella’. Il concerto nasce dalla collaborazione tra Jazz Cat Club e ‘Tra jazz e nuove musiche’, rassegna di Rete Due. «Suoneremo molto da ‘Iconic’, e molto dagli inizi della nostra carriera», ci anticipa Claude McKnight, membro fondatore del sestetto delle meraviglie, sei voci capaci di vincere dieci Grammy Award e collaborare con tutti i grandi. «Sempre divertendoci, e provando a trasmettere al pubblico la sensazione».

Huntsville, Alabama

È il 1980 quando Claude McKnight forma The Gentlemen’s Estates Quartet, quartetto dell’Oakwood College (oggi University), università della La Chiesa cristiana avventista del settimo giorno a Huntsville, Alabama; mentre il quartetto prova in un bagno dell’istituto, Mark Kibble li nota e vi si aggiunge; così farà più tardi Mervyn Warren, portando a sei il gruppo, diventato Alliance. Ma Alliance già esiste, e dunque Take 6.

«Il segreto dello stare insieme da così tanto tempo è che amavamo la musica nel 1980 e ancora l’amiamo oggi. E continuiamo a piacerci a vicenda», dice McKnight, che ‘giura’ che all’inizio nessuno avrebbe pensato, un giorno, di collaborare con Stevie Wonder, Ray Charles, Al Jarreau, e tanti altri: «Ho fondato questo gruppo che avevo 17 anni, ed era solo un hobby. Soltanto otto anni più tardi ci siamo convinti che sarebbe stata una strada che avremmo potuto tentare. Le collaborazioni sono arrivate da sé, ed è sempre stata la musica a trovarle. Ci siamo ritrovati ad avere come fan tanti grandi artisti, e amando ognuno la musica dell’altro è diventato facile chiedere loro di suonare o di registrare con noi».

Lo zio Quincy

Best Soul Gospel Performance, Best Jazz Vocal Performance, Best Gospel Performance. Nel 1988, tre Grammy con l’album di debutto, eponimo: come avete gestito il successo? «È stato un momento molto particolare, perché tante cose sono accadute tutte nello stesso momento. Non abbiamo avuto la possibilità di rallentare e capire cosa fosse il successo, eravamo travolti dagli impegni. Abbiamo apprezzato quello che ci stava capitando, ma la testa era sempre all’impegno successivo, e siamo riusciti a focalizzare solo per un momento». E se il Grammy è ‘il’ riconoscimento, altrettanto si può dire dell’essere in un disco di Quincy Jones, lo storico ‘Back on the Block’ dello stesso anno, una presa di coscienza del valore artistico che sottende ogni invito del Produttore: «Eravamo amici di Quincy Jones già molto prima di quel disco, era per noi una sorta di zio acquisito, sin dagli inizi della nostra carriera. Sì, quel disco ci ha dato la consapevolezza di avere un nostro posto nel music business».

Ognuna delle collaborazioni è stata «speciale» per McKnight: «Il grande onore datoci da Ray Charles, la prima partecipazione di Stevie Wonder, un’esperienza meravigliosa. Se devo fare un nome, dico Al Jarreau, con il quale siamo stati in tour, e fu il nostro primo tour americano. Forse quella è stata la cosa più emozionante, perché abbiamo vissuto con lui ogni giorno, data dopo data».

Vecchi e nuovi standard

Nel 2008 uscì ‘The standards’, da Nat King Cole a Miles Davis a Ella Fitzgerald; nel 2018 ‘Iconic’, da Christopher Cross a Eric Clapton a Lennon-McCartney, nuovi standard resi tali da chi li ha interpretati. Perché così funziona la macchina del suono chiamata Take 6: «Mark Kibble è l’arrangiatore primario. A volte trova lui le canzoni, altre volte scegliamo noi, assicurandoci che possano avere il suo arrangiamento. Lui è il sound dei Take 6, e noi dobbiamo ‘suonare’ Take 6». E perché tutto suoni Take 6 ci vuole il lavoro: «Lavoro duro. Gli arrangiamenti non sono semplici, proviamo parecchio. Anche oggi abbiamo provato canzoni con le quali non abbiamo ancora familiarizzato». Niente di scontato, quindi: «Puoi sapere se l’arrangiamento funziona per te, ma non come funziona sopra un palco. È il pubblico a darti la conferma, e l’attesa è sempre eccitante».