laR+ La recensione

‘Ghost’, bello il film e il musical ‘idem’

Recitano (quasi) tutti alla velocità di Zerocalcare, ma siamo grati per la versione fedele alla pellicola. Grato anche il Lac, che alla fine applaude

Visto al Lac di lunedì
(Giovanni Daniotti)
16 marzo 2022
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Molly bionda e coi capelli lunghi? Magari con lo smartphone in mano? Nessuno vorrebbe ‘Ghost’ a teatro in nessun altro modo se non alla maniera del film. Stravolgendone parte dell’estetica di base, nella quale il caschetto castano scuro di Molly vale quanto lo skyline di New York, così nel 2011 aveva concepito il musical Bruce Joel Robin, Premio Oscar per la sceneggiatura originale del film, spiazzando gli appassionati della storia di culto sull’amore tra umani ed ectoplasmi e causandone la chiusura anticipata a Broadway.

Nella versione italiana di ‘Ghost – Il musical’, a Lugano lunedì sera, Molly Jensen (la brava Giulia Sol) ha di nuovo il suo caschetto nero, le canottiere, la salopette, gli spolverini beige, e i selfie se li fa al massimo con la Polaroid. Con valido cast giovane tendente al molto giovane, il ‘Ghost’ di Federico Bellone ha strappato l’attenzione e gli applausi del Lac, forte di una scenografia che sa di New York dai mattoncini della sua Lego-architecture fino ai neon dei vagoni della metropolitana, dagli interni di casa Jensen in cui vanno in scena le schermaglie amorose tra Molly che dice "Ti amo" e Sam (Mirko Ranù) che risponde "Idem", al muoversi di scrivanie negli uffici della New York da bere, sulle quali nasce il progetto delittuoso del cattivo di turno, Carl, che fa uccidere l’amico e collega Sam per prendersi soldi, fama e, già che c’è, anche l’incantevole e incolpevole Molly. Il resto della storia, per tutte le età, è arcinota: tramite la fattucchiera Oda Mae Brown (Whoopi Goldberg nel 1990, Gloria Enhill lunedì sera) Sam divenuto fantasma (trasparente sì, ma ‘fattivo’) riesce a mettere a posto le cose e a passare dall’altra parte in pace con Molly e con il mondo (grazie anche agli effetti speciali curati da Paolo Carta).

Sul buon uso della lentezza

‘Unchained Melody’, ballad dei Righteous Brothers che dal 1990 tutti chiamano semplicemente ‘Ghost’, è un filo conduttore che inizia con Sam (vivo) alla chitarra; filtrata dalle casse di una radio vintage sopra un frigo rosso, condurrà poco dopo al sussulto emotivo del Lac, pari a quello che il film produce quando l’amore tra la disperatamente umana Molly e l’impalpabile innamorato ha il suo trionfo davanti al vaso di terracotta che oggi si direbbe ‘iconico’. La scena clou, al Lac, apre il secondo tempo, quando in Giulia Sol tutti vedono ormai soltanto Molly (o soltanto Demi).

Tutto scorre bene in ‘Ghost – Il musical’, restituendo tensioni e tonalità proprie della sua versione cinematografica. Al netto di una certa difficoltà del testo italiano a sposare, in musica, metriche e concetti della lingua inglese, un unico appunto: tutti (o quasi) hanno una gran fretta. È vero che il musical è un’altra cosa, è vero che forse c’abbiamo un’età, ma ‘Ghost’ recitato alla velocità di Zerocalcare è molto più bello a vedersi che ad ascoltarsi, in una frenesia che gioca ancor più a sfavore delle scene d’insieme durante le quali nemmeno un fonico da Oscar riuscirebbe a rendere comprensibile le singole voci. Più che di un fonico, a tratti, è di sottotitoli che si avrebbe bisogno ed è un peccato perché con tempi meno frenetici ci guadagnerebbe anche la recitazione della esplosiva e naturalmente simpatica Gloria Enhill, che a luci accese comunque si prende una gran fetta dell’applauso della Sala Teatro. Nota di merito, in questo senso, a Giulia ‘Molly’ Sol non solo per il padroneggiare recitazione e canto (su tutte, la versione italiana di ‘With You’) ma anche per assicurare un poco di sano, umano rallentare, tanto utile a distinguere parole e concetti, intensità e calore, gioia e disperazione. E amore, idem.