La recensione

‘Le relazioni pericolose’, viaggio di perdizione e conoscenza

Lo spettacolo di Carmelo Rifici visto al Lac, due ore e venti filate non facili ma sicuramente da vedere

(LAC, Foto Luca Del Pia)

Sono le parole del generale Clausewitz (da René Girard), ancora una volta, ad accogliere gli spettatori in sala e a ricordarci che ‘solamente gli animali fuggono il combattimento, l’uomo diventa veramente uomo solo nella guerra’. Oggi più che mai queste parole risuonano in maniera particolare. Una parte importante del saggio viene enfatizzata in un crescendo dove la perentorietà della voce si fonde con un insieme di bassi e musica elettronica e riportandola al nostro presente.

Siamo sul palco del Lac, di fronte a una scena crepuscolare, come del resto l’epoca rievocata dalle ‘Relazioni pericolose’. È il 1782 quando l’opera scandalosa del generale (un altro) Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos viene pubblicata, facendo di lui l’autore del più grande romanzo epistolare della letteratura francese.

Lo spettacolo di Carmelo Rifici si incastona in maniera sorprendentemente naturale nel tempo attuale a dimostrarci ancora una volta – nel caso ve ne fosse bisogno – come la Storia si ripete. Parigi prima della Rivoluzione, sullo sfondo un’epidemia di vaiolo, e a guardar ancora più indietro la peste. E noi che ci troviamo incuneati tra un’emergenza sanitaria e una guerra non possiamo che cedere all’empatia per il dramma che si dipana in scena.

Ma andiamo con ordine. Le Relazioni pericolose racconta il fine gioco di vanità e potere in cui la nobile e libertina Marchesa de Merteuil, abbandonata dall’amante Gercourt, decide di vendicarsi disonorandolo. Come? Attraverso una vittima sacrificale, la pura Cécile, fresca fresca di collegio. Da traviare e portare su quella strada di perdizione della carne nella quale si troverà qualche anno dopo anche l’Eugénie della Filosofia del Boudoir del Marchese de Sade.

A portare a termine il suo piano diabolico sarà un seduttore senza scrupoli, l’affascinante Visconte di Valmont, che gode nel conquistare donne irraggiungibili, come la casta e risoluta Madame de Tourvel. È una guerra di potere e seduzione, tra la ragione e la carne, l’uomo e l’animale, in un’epoca, l’illuminismo, nella quale l’umanità ha rinunciato alla spiritualità.

La nuova produzione del Lac mette in scena in maniera sorprendentemente efficace questo duello. I personaggi sono vestiti di bianco, in abiti da scherma (rivisitati, elegantissimi). Ci saranno duelli fisici tra Cécile e il suo innamorato Danceny, che con la leggerezza della danza restituiranno la battaglia dell’amore puro, così diverso dai torbidi giochi di prevaricazione alle loro spalle. A parte questi movimenti si combatte a suon di parole, declamate, sussurrate, sbraitate nei molteplici microfoni che abitano la scena. Una scena che pare trasformarsi a tratti in sala di registrazione, nella quale protagonisti assoluti non sono i personaggi in carne e ossa ma per appunto le loro voci, le parole come in un radiodramma. Ascoltiamo senza riuscire ad allentare l’attenzione, nonostante i movimenti siano ridotti al minimo. La tensione è tangibile e potente ancora di più quanto chi la evoca è immobile.

Le lettere che compongono Le relazioni pericolose sono state arricchite dagli innesti di testi a opera di Rifici e Livia Rossi (bravissima Cécile in scena). Ritroviamo facilmente Artaud e Dostoevskij (tra gli altri) che si inseriscono con sorprendente armonia nell’opera di Laclos infondendo più sostanza alle ideologie che permeano i personaggi. Vien voglia di avere l’intero testo per andare a sondare e rileggere il profondo e generoso lavoro di rivisitazione drammaturgica.

L’opera si permea così di valori nuovi: Madame de Tourvel porta in scena la voce e le idee di Simone Weil, e la sua figura viene redenta. Come il giovane Danceny che torna alla terra abbandonando la parola, attraverso i versi di Hofmannsthal. Questi due personaggi saranno del resto gli unici a sopravvivere in un finale volutamente aperto.

Le relazioni pericolose non è uno spettacolo semplice, due ore e venti filate, ma sicuramente da vedere. Il piacere del teatro si manifesta attraverso il potere della parola, la forza del suono, l’estrema bravura degli attori in scena, ma anche un’estetica ricercata ed efficace. Una regia che non lascia nulla al caso, che accompagna in questo viaggio di perdizione e conoscenza e che, pur portando in scena la guerra, ce la fa dimenticare per qualche ora.