Chi, col settore in crisi, si farebbe portare in auto fino a Sanremo? A cosa servono gli aeroporti? Ma soprattutto: chi viaggia su quei van Mercedes?
Si affiancano all’altezza di Ovada scendendo verso il mare, vetri oscurati con dentro nient’altro che sagome, rese tali dalle luci delle gallerie nell’eterno senso alternato di marcia che bloccò l’estate delle Alpi Liguri e che ora si estende fino all’Autostrada dei Fiori. Che ci fanno due van Mercedes neri incollati l’uno all’altro a Ovada, a velocità tipica da “ci abbiamo uno importante a bordo”? I van neri sono le auto ufficiali del Festival e portano i cantanti dall’hotel all’Ariston, tranne quelli che pernottano al Globo, appiccicato al teatro, il tre stelle in cui Morgan litigò con Bugo e altra storia della musica e del gossip. Viaggiano ad andatura sostenuta, i van, ma non d’emergenza. La domanda è: quale cantante mai, col settore in crisi, si farebbe accompagnare in autostrada da Ovada fino a Sanremo? E in due veicoli distinti, per giunta. Perché ci scommettiamo lo stipendio di febbraio che i due van stanno andando a Sanremo, e che forse il cantante non è uno solo, magari è una band. Ma che ci fanno per strada quando a Genova c’è Cristoforo Colombo l’aeroporto?
Diventato fisso allo svincolo per Ventimiglia, perché è proprio verso Ponente che stanno andando, il pensiero si fa concetto al casello di Varazze, producendo due possibilità: 1. Chi è a bordo dei due van ha una fottuta paura di volare. In fondo, la storia della musica è piena di gente che ha paura di volare, chiedete a Mina, chiedete a Buddy Holly, chiedete a John Denver (con tutte le difficoltà, Mina potrebbe ancora rispondervi, non così gli altri due). 2. La band non arriva dall’Italia. La band è atterrata con un volo transoceanico che non farebbe mai tappa a Genova, ma al massimo a Milano Malpensa. Nel momento di crisi generale, la band ha abbastanza successo per potersi pagare due van prodotti dalla multinazionale di Stoccarda e farsi portare, nel ben noto comfort teutonico, sino al Festival di Sanremo. Potrebbero essere gli ospiti di martedì, i tempi ci sono tutti: arrivo domenica sera, prove di lunedì, show il giorno dopo, ritiro del cash, arrivederci e grazie.
Lo insegnano a Hollywood, dove nessuno s’accorge mai se un’auto ti sta seguendo: stare nel culo al veicolo davanti può destare sospetti, anche se guidi una Citroën C3. Anzi, forse proprio perché guidi una Citroën C3. Meglio alternarsi con altre auto, come i ciclisti in fuga a darsi il cambio, nascondendo i progetti di fuga. Dopo tot chilometri a debita distanza, ma senza mai mollare la scia, più o meno all’altezza del casello di Imperia Est, forse la Citroën C3 ha dato nell’occhio oppure la band è in ritardo: a chi guida i due van il piede gli si fa improvvisamente pesante e le due auto di Stoccarda iniziano a fregarsene dei limiti di velocità; un 120 su 60 in Svizzera vale La Stampa (intesa non come categoria ma come carcere), e il 145 su 90 manda definitivamente in vacca il nostro sogno di paparazzo. In un più rassicurante 115 su 110, la Citroën C3 torna utilitaria come mamma l’ha fatta. «Se solo si fossero fermati all’Autogrill a far pipì…», dice chi viaggia con noi. E nella convinzione di avere perso un’occasione ci vengono in mente le parole di Elio: “Maledetto rock and roll, tu spacchi gli alberghi e orini sul mondo”.
Chissà. Se gli occupanti dei van avessero orinato sul mondo all’Autogrill di Castellaro Nord, l’ultima occasione, oggi avremmo una di quelle foto in cui la star ti mostra le bianche terga, ti alza un medio dritto in faccia o magari la faccia te la rompe: tu diventi famoso, ci scrivi un libro, vai da Red Ronnie e i biografi del rock ti citeranno per sempre. Famoso come Mark Chapman, ma simpatico. Però, sai che delusione se dai van, a Castellaro Nord, fossero scesi non i Måneskin, ma una comitiva di manager giapponesi in vacanza premio. Ecco, di sicuro le foto ce le avrebbero fatte loro.