L'intervista

Sua Maestà Tullio De Piscopo, tutto il jazz ‘Around Pino’

Al Teatro del Gatto di Ascona il 20 settembre con Dado Moroni e Aldo Zunino: ‘Pino era in perfetta simbiosi con la musica, le sue canzoni oggi sono standard’

Per ‘Tra jazz e nuove musiche’ di Rete Due, in collaborazione con il Jazz Cat Club (evento con certificato Covid)
15 settembre 2021
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È il più milanese di tutti i partenopei trasferitisi nella città da bere molto prima che Milano diventasse da bere. I cinquant’anni di carriera li ha già festeggiati da un po’, con un triplo album celebrativo che sta dentro a un cofanetto griffato da due bacchette incrociate. Cinquant’anni ora cinquantasei che sono il riassunto di una musica senza confini precisi, dove jazz, pop e fusion si fondono con la canzone e diventano idiomi, linguaggio, unici, indivisibili, interpretabili. ‘Sua maestà’ o ‘leggendario’ sono i termini dati a chi a un certo punto della vita viene messo, per meriti acquisiti sul campo, su di un piedistallo sopra il quale, Tullio De Piscopo, non si è mai seduto, preferendo gli studi di registrazione, i palchi del mondo e le aule dell’insegnamento.

La libertà artistica e innovativa del grande percussionista e batterista napoletano sposano in pieno la definizione ‘Tra jazz e nuove musiche’, 14esima rassegna di Rete Due, stavolta in collaborazione con il Jazz Cat Club. Lunedì 20 settembre alle 20.30, Teatro del Gatto (evento con certificato Covid, prenotazioni a info@jazzcatclub.ch o chiamando lo 078 733 66 12), De Piscopo colma il vuoto lasciato nel novembre del 2020 non per colpa sua (chiedere alla pandemia che ci ha infettato pure la musica) portando ad Ascona ‘Around Pino’, concerto che sta dalle parti dell’amico fraterno Pino Daniele, insieme al pianista Dado Moroni, tra i jazzisti più accreditati dentro e fuori la Penisola, e ad Aldo Zunino al contrabbasso, trio di musicisti e amici di lunga, lunghissima data.

‘Vogliamo parlare di Napoli?’

«Mamma mia, sì, il concerto era previsto a novembre dello scorso anno, ma stavano chiudendo dappertutto. Da Ascona non arrivavano segnali positivi e allora abbiamo preso la decisione di non muoverci, per evitare cose più spiacevoli. Ora che abbiamo ripreso, questo concerto che ci sta dando grandi soddisfazioni». È quanto ci dice Sua Maestà aspettando lunedì e lanciandosi, prima che glielo si chieda, nel più tecnico e al tempo stesso affettuoso ricordo di chi dà il titolo al concerto. «I suoi brani, anche senza la voce e il testo, sono brani meravigliosi che non hanno nulla da invidiare agli standard americani. Pino Daniele lo si può leggere in quanto poeta o suonare in quanto musicista. Da queste parti siamo tutti abituati ai jazzisti americani e dobbiamo per forza conoscere i loro standard, tutti grandi successi provenienti dalle grandi compagnie di musical. Ma anche noi in Italia abbiamo brani stupendi. Vogliamo parlare di Napoli? ‘’O sole mio’ non ha nulla da invidiare agli americani, e così ‘Reginella’, ma anche ‘Quando’, o ‘Quanno chiove’ di Pino Daniele. Con Dado e Aldo suoniamo una musica molto personale, rivolta al jazz ma non di soli standard. Di quelli, ne facciamo due o tre, non di più». Forse perché Pino Daniele è già standard, maestro? «Perché Pino Daniele è ‘na cosa immensa. Abbiamo lavorato insieme tanto tempo, stretti come fratelli, e posso dire che era in perfetta simbiosi con la musica. Nella mia vita non credo di avere mai visto una persona studiare così tanto il proprio strumento. Pino era sempre con la chitarra in mano, e sempre alla ricerca di stimoli».

Live@Rsi

C’è un live di rara bellezza che testimonia il passaggio di Pino Daniele in Svizzera nel momento di massimo splendore, e che include anche Rino Zurzolo e Joe Amoruso, nel nucleo di una band formidabile che non li annovera più esattamente come non annovera più il suo frontman, perché così ha voluto il destino o altra entità con identiche capacità decisionali. S’intitola semplicemente ‘Live@Rsi’, parte della ricca e rinominata collana di concerti ‘Live@Rtsi’. È documento fedele di tutto quanto accaduto tra ‘Vai mò’ (1981) e ‘Sciò live’ (1984), con in mezzo ‘Bella ‘mbriana’ (1982) e ‘Common Ground’, disco di Richie Havens prodotto da Pino e a tutt’oggi ancora in sola forma vinilica.

«Era il 1983», ricorda De Piscopo. «Quel dvd ha fatto un successo incredibile, perché ancora una volta la Svizzera ha dimostrato di essere più organizzata di noi. A nessuno sarebbe venuto in mente di farne un dvd, e voi l’avete fatto». Giriamo i complimenti a Comano e continuiamo. «Da ‘Vai mò’ sono passati esattamente quarant’anni, ma se ancora mettiamo quel disco sul piatto, o anche solo ‘Yes I know my way’, sentiamo quanto moderna resti quella musica». Ricordi: «Avevamo voglia di fare musica, di fare cose diverse, di studiare, facevamo sound check di due-tre ore; quando entrammo nella saletta per fare i provini, nessuno di noi immaginava che stavamo per fare qualcosa che sarebbe rimasto nella storia». La storia ma anche ‘Tutta n’ata storia’, traccia 2 da ‘Bella ‘mbriana’ che dà il titolo al live in Napoli che nel 2013 celebrava ‘Vai mò’: «Fu un bellissimo concerto, di quelli molto sentiti. Ma il momento incredibile resta quello di quarant’anni fa. Chiudemmo il tour a Napoli, il 19 settembre del 1981 in Piazza del Plebiscito con 220mila persone che avevano voglia di ascoltarci, di gridare e di cantare insieme a noi».

Tutto è musica (anche la risonanza magnetica)

Per dirla con il terrone Pino Aprile (terrone nel senso di autore del bestseller ‘Terroni’, lettura imprescindibile per capire tante cose del sud Italia), “I De Piscopo sono una stirpe numerosa: fanno casino da generazioni”. Aprile è l’autore della prefazione di ‘Tempo! La mia vita’, autobiografia di Tullio De Piscopo che, sette anni dopo, è la migliore sua esibizione insieme alla musica scritta e suonata. Il capitolo d’apertura s’intitola ‘’O miracolo’ ed è un sunto di quanto precede le dieci ore d’intervento, riuscito, per l’asportazione di un tumore maligno dalle parti del fegato. Anche in ospedale Sua Maestà trovò il modo di fare musica: «Sono entrato in questa macchina per la risonanza magnetica dove tutto era ritmico e assordante; stavo lì dentro sperando che il mio male non fosse grave, però intanto: “Stucutucutàcutu, tucutucuchacataca” (liberamente trascritto, ndr), sembrava una voce infernale, e l’infermiere che ci cantava assieme “Respiri, non respiri, fermo, respiri…”».

Nato nel 1946 nel quartiere di Porta Capuana, Tullio De Piscopo è batterista come furono papà Giuseppe e il fratello Romeo, apprezzato jazzista morto a soli vent’anni per cause misteriose. Da scugnizzo, il piccolo Tullio si era costruito una batteria con le lattine vuote, perché «come Gegè Di Giacomo insegna, non servono le pelli, bastano anche i bicchieri», dice oggi riferendosi a quando il batterista di Renato Carosone si presentò alle audizioni per l’omonimo Trio senza lo strumento, portato a cromare per colpa della salsedine. «Grande Gegé. Ci arrangiavamo, è l’arte dell’arrangiarsi dei napoletani. Sì, da piccolo stavo sempre per strada con le bacchette a suonare tutto e a dare fastidio a tutti. Rappeggiavo su tutto quello che i miei occhi vedevano». Per dirla col libro, “con un’inclinazione spiccatamente hip-hop ante litteram, i rumori per me erano suoni”.

‘Tempo!’, per chi è cresciuto nell’incanto della musica suonata, ha momenti di pura poesia: “Fu proprio al Teatro Apollo che vidi suonare mio padre dal vivo per la prima volta”, scrive De Piscopo; “Rimasi incantato a osservare lui e la batteria avvolti da una luce innaturale. Mi sembrava una piccola astronave, non capivo e mi chiedevo ‘ma cos’è?’. Poi scoprii che si trattava di lampadine poste nei tamburi che, con il loro calore, accordavano le pelli animali, perché a quei tempi i tamburi non avevano né tiranti, né pelli di plastica come oggi”. Al Teatro Apollo, “tempio della sceneggiata napoletana” nei pressi della stazione, l’aspirante batterista che la famiglia avrebbe preferito contrabbassista perché in giro ce n’erano di meno, portava ogni giorno il pranzo a papà. Teatro Apollo di Napoli ma anche Apollo Theatre di Harlem, New York, dove il Tullio adulto suonò in un tributo alla sua città con ospiti the King of Soul James Brown, The Temptations, Lester Bowie e altre stelle: «I sogni si sono avverati, meno male», commenta De Piscopo. Non solo all’Apollo Theatre: «Quando fantasticavo, da bambino, ascoltavo l’album di Max Roach e me lo baciavo. Avrei tanto voluto vederlo dal vivo, conoscerlo di persona. Ebbene, nell’89 suonai con lui e M’Boom Re Percussion, dodici tra i più grandi batteristi e percussionisti al mondo».

‘Santo Andamento lento’

Ventisette album da solista, le collaborazioni non si contano: Pino Daniele a parte, spiccano i nomi di Piazzolla, Jannacci, Mina, Gaber, Vecchioni, Celentano, New Trolls; la batteria in ‘Rimini’ di De André è la sua e così quella in ‘L’era del cinghiale bianco’ di Battiato. In ambiti jazz, Gerry Mulligan, Enrico Intra, Kai Winding, Dave Samuels, Renato Sellani, Gianni Basso, Franco Cerri, Claude Bolling, Aldemaro Romero, Don Costa, Quincy Jones, Renato Sellani, Larry Nocella e altri. E i dischi con Dado Moroni (in ‘Bluesology’, 1981, c’è anche Franco Ambrosetti). Ventisette album come solista, da ‘Suonando la batteria moderna’ (1974) fino a ’50 Trilogy, Musica senza padrone’ (2015), cofanetto in cui non poteva mancare ‘Libertango’, anch’essa musica senza padrone per chi come Piazzolla rivoluzionò il tango argentino smontando le accuse di mescolare il sacro col profano: «Piazzolla è stato per me un’esperienza straordinaria che mi ha lasciato un mondo di soluzioni armoniche, melodiche e ritmiche». E comunque, «sì, ‘Musica senza padrone’ è la mia vita, anche quando lavoravo per la Rai e prendevo pochi soldi perché non timbravo il cartellino…» (ride, ndr). Libertà che gli ha permesso di essere anche solista e hit maker: «Sono stato fortunato. Un giorno è arrivato ‘Andamento lento’, che oggi si chiama ‘Santo Andamento lento’ perché mi ha permesso di comperare in contanti la casa che la mia famiglia già da tempo si meritava. Sì, ero il batterista più richiesto anche prima di quella canzone, ma non giravano soldi. E mettendo le parole alla mia musica mi sono tolto soddisfazioni anche, finalmente, economiche, senza chiedere niente a nessuno, ma solo alla mia forza e alle mie mani».

‘Per carità! Questo è il sound!’

Quello che è probabilmente il capolavoro del Tullio De Piscopo solista, però, a noi pare ancora il concentrato di groove e lingua napoletana intitolato ‘Stop bajon’ (1984), voluto a tutti i costi dagli inglesi così come se n’era uscito dagli studi di registrazione: «È vero, quando ci chiamarono ci dissero che bastava il provino, ci intimarono di non toccare niente; insistemmo, dicendo che avremmo voluto fare qualcosa di più moderno, ma ci dissero: “Per carità! Questo è il sound!”». E le chart internazionali dissero che gli inglesi ci avevano visto giusto: «Quel sound piaceva e piace tutt’ora, quasi non riesco a spiegarmi come mai questa canzone giri ancora in tutto il mondo e mi porti ancora richieste di suonare. In molti l’hanno spacciata per loro proprietà, e la vendono ancora in tutto il mondo. Ma questo interesse si deve, una volta ancora, anche a Pino che mise le sue parole sopra questo groove che mi aveva insegnato mio padre, il bajon, un ballo di fine anni ’40-primi ’50, che io modificai. Quel groove è Napoli, e il brano è una miscela di Tullio e Pino nel mondo».

Gli aneddoti musicali hanno qui la stazione d’arrivo: «Che ‘Stop bajon’ fosse una cosa moderna – conclude De Piscopo – si trova conferma in un live ripreso da Rai Due alla Bussoladomani di Viareggio, condotto dal grande Gianni Minà. Dopo le prove sentii bussare alla porta del camerino: era Frankie dei Frankie Goes To Hollywood (all’anagrafe Holly Johnson, ndr), che voleva fare i complimenti per ‘Stop bajon’. In quegli anni loro avevano un pezzo fortissimo, ‘Relax’». Mi permetto, maestro De Piscopo: il suo non è che fosse da meno. «È vero», risponde Sua Maestà. «Secondo Frankie, il mio era più forte…».