‘Annette’ di Leos Carax apre la 74ª edizione del festival di Cannes. Intendo, ma meno originale, ‘Tout s’est bien passé’ di François Ozon
Giornata di sole sulla Croisette, dove il Festival fa i conti con la lenta ripartenza di un mercato che si presenta dal vivo e online. Ed è proprio dal vivo che si notano le troppe assenze: nella confusione che regna nei vari Paesi per il Covid, nessuno rischia di arrivare qui e doversi fare una quarantena, e magari un’altra al ritorno. Il problema del Mercato è fondamentale non solo economicamente ma anche per la vivacità sociale, con centinaia di feste e party che il mercato propone. Di più, Cannes si trova a fare i conti con il suo essere l’ultimo paladino a difesa delle sale: Venezia si gode Netflix e si è già aggiudicata oltre al nuovo Almodovar, Jane Campion con “Power Of The Dog”, Paolo Sorrentino con “The Hand of God” Ana Lily Amirpour con “Mona Lisa The Blood Moon, e il nuovo Pablo Larrain con “Spencer” che vede Kristen Stewart come Principessa Diana.
Ma restiamo a Cannes, perché proprio il film scelto dal direttore Thierry Frémaux per l’inaugurazione è un canto al cinema e a una società in cui sempre più forte è l’esigenza di un cambiamento culturale dei maschi. Perché questo spiazzante ‘Annette’ di Leos Carax – che lo stesso regista ha scritto e sceneggiato con i fratelli Ron e Russell Mael è un musical moderno, fortemente politico e volutamente ricco della bellezza della finzione cinematografica. Un film che cantando amore e famiglia mette in mostra l’anello debole della costruzione sociale: l’uomo capace di tradire la moglie e poi sopprimerla con spietata freddezza e capace di sfruttare per le sue tasche anche la sua piccola creatura. Le musiche sono di Sparks (il gruppo formato dagli stessi Mael, non peccano di originalità ma sono molto efficaci), bella la fotografia di Caroline Champetier. Ma sono i protagonisti ad assumersi un importante ruolo narrativo, soprattutto Adam Driver nella parte ingrata del maschio, un comico teatrale famoso per le sue provocazioni, un ruolo che offre all’attore di dare prova a tutto tondo della sua preziosa professionalità. Prima innamorata poi decisa nemica è la sempre puntuale e attenta Marion Cotillard, qui come cantante lirica dalla splendida voce. Di grande invenzione è la loro figlia che subito appare come un burattino ben congeniato e truccato, una bambola fatta appositamente e che raccoglierà la voce della madre. Al termine applausi convinti, per questo melodramma che rileggendone i canoni ne celebra l’attualità.
Meno originale, ma lo stesso molto intenso è il nuovo film di François Ozon ‘Tout s’est bien passé’. Un film sulla fine della vita, argomento in generale qui trattato in passato da opere importanti come ‘Amour’ di Michael Haneke che vinse la Palma d’oro nel 2012. Con Ozon ci troviamo con Emmanuèle (la brava Sophie Marceau, che di strada ne ha fatta tanta e bene da quel ‘Il tempo delle mele’ che la rivelò) che si trova a fare i conti con il vecchio padre (il sempre perfetto André Dussollier) che dopo un grave infarto si ritrova malato e mezzo paralizzato in una camera d’ospedale. L’uomo le chiede di aiutarlo a farlo morire. Poche parole che uccidono la coscienza, che impediscono alla mente di ragionare, al cuore di parlare, alla voce di urlare. Un tema intimo eppure esplosivo nel nostro vivere sociale, nelle imposizioni morali e religiose. Ecco perché questo è un film necessario da vedere e discutere. Cannes è cominciato col piede giusto.