Gjon’s Tears in testa fino al televoto, che premia la band vincitrice dell'ultimo Sanremo. 'Zitti e buoni' mette in fila Francia e rossocrociati
Davanti a milioni di spettatori servono una voce perfetta, un’immagine perfetta, una performance perfetta e una canzone perfetta, che su “Parla, la gente purtroppo parla”, quando ‘Zitti E Buoni’ sembra aver dato tutto, riparte e ha il suo punto di non ritorno. I Måneskin hanno vinto l’Eurovision Song Contest e alle 00:50 di domenica mattina, quelli poco convinti che la band vincitrice dell’ultimo Sanremo sia una vera rock band, di musicisti veri, potrebbero essere diminuiti di numero.
Una vigilia condotta all’insegna di un “Non succede, ma se succede...” e “Un po’ ci stiamo credendo” – dichiarazioni di Damiano, Victoria, Ethan e Thomas – i Måneskin salgono sul gradino più alto del podio di Eurosong a distanza di 31 anni dall’europeista Toto Cutugno, ultimo vincitore per l’Italia nel 1990 in Croazia con ‘Insieme: 1992’, e a 57 da Cigliola Cinquetti a Copenaghen, prima classificata nel 1964 con l’euro-generazionale ‘Non ho l’età’. Lo fanno senza abuso di effetti speciali, se non quelli di base del rock and roll: spot sparati negli occhi, telecamere in transito, vieni e vai dalla batteria e ritorno (quello di Victoria è una sorta di ‘walking bass’) e stilemi del miglior glam dentro i quali i quattro si muovono come navigati esponenti del settore, tra un “Rotterdam make some noise!” della prima esibizione e il “Rock and Roll never dies” poco prima del bis, titolo in tasca. E a conferma che “quello è un palco per tamarri, e da tamarri bisogna comportarsi”, scriveva Rolling Stone Italia, la creativa e costruttiva tamarraggine dei Måneskin è un must del genere. Anche l'innaffiata di champagne durante una conferenza stampa che pare il podio della Formula Uno, alla fine, è sempre rock.
Il discorso sulla perfezione, o almeno il potervi tendere, vale anche per chi arriva terzo. Perché ci sono algoritmi matematici che dicono se una canzone è adatta all’Eurovision Song Contest, ma c’è anche un segnale più fisico: se dopo due semifinali il riff che resta in testa più di ogni altro è quello di Gjon’s Tears, allora significa che ‘Tout l'Univers’ era una grande canzone. Capace, non a caso, di ricevere il massimo dei voti da parte d'Israele, Albania, Estonia, Lettonia, Belgio, Finlandia, Islanda e Danimarca, cedendo soltanto a più blasonati e popolari avversari. Retto da un'interpretazione tecnicamente impeccabile e da una voce naturalmente limpida, il friburghese Gjon Muharremaj da Broc si piazza un gradino più in alto di Luca Hänni, quarto nel 2019 con cose assai efficaci ma certamente meno profonde.
‘Tout l'Univers’, detto con parole di Gjon’s Tears (forse è noto, il nome d’arte viene dalle lacrime versate dal padre sull’ascolto di ‘Can’t Help Falling In Love With You’) è quel “modo di usare la musica per scuotere le coscienze in ogni modo possibile, che si tratti di gioia, tristezza o melanconia”, e lo svizzero con origini albanesi e kosovare a un passo dal vincere Albania’s Got Talent, Switzerland Got Talent e The Voice Francia la musica l’ha usata bene, dentro un brano di classe che non ha fretta di decollare, ampio e desideroso di attenzioni, in linea col vincitore dello scorso anno.
Una vaga somiglianza con Tony Hadley che non lo fa troppo ‘vitellone’, il 22enne Gjon è il primo svizzero a salire sul podio della competizione dai tempi di ‘Io, semplicemente’ di Annie Cotton, anno 1993. A lui brinda su Twitter anche il presidente della Confederazione Guy Parmelin, mentre il Comune di Broc comunica di volersi prendere il tempo necessario per organizzare al ragazzo una festa estiva, e cioè a emergenza sanitaria conclusa, così da coinvolgere quanta più gente possibile.
“Guardate me, i miei occhi e le mie mani, tutto quello che ho qui è la mia voce, il mio grido”: con legami di parentele serbo-iraniano-polacco-nordafricane e paladina dei diritti delle donne, Barbara Pravi è seconda con ‘Voilà’, splendido distillato di chanson française, a variare un podio che vede, subito sotto, l'effetto ‘Fire Saga’ islandese di Daði Freyr che dedica ’10 years’ alla moglie accompagnato dai Gagnamagnið, tra i quali c’è un positivo al Covid e quindi l’esibizione della finale è solo la replica della semifinale, non meno simpatica, vincente e positivamente anni Ottanta. Al quinto posto, strappata dal televoto al fondo della classifica dove le giurie di qualità l'avevano relegato, l'electro-folk ucraino dei Go_A in ‘Shum’ guidato dalla voce senza tempo di Kateryna Pavlenko.