In gara al Festival con ‘Potevi fare di più’, brano sugli amori tossici scritto per lei da Gigi D'Alessio: ‘Giusto fare Sanremo, per i lavoratori dello spettacolo'
Dal divano di casa, davanti a un discreto plotone di giornalisti musicali resi quadratini da Zoom, il Festival di Sanremo si è presentato sottoforma di Arisa, protagonista di uno dei riti di Sanremo, la presentazione della canzone in gara. Canzone che, nel caso della due volte vincitrice di Festival – nei Giovani e nei Big, in anni diversi – è ‘Potevi fare di più’. A scrivere è Gigi D’Alessio, che per lei ha confezionato una cosa non troppo soul: «Vengo da Pignola (Potenza, Basilicata - ndr), mica posso mettermi a fare la cantante nera!», scherza Rosalba a chi le chiede i contenuti sonori del pezzo. E a chi le chiede perché D’Alessio, Rosalba risponde: «È un maestro, ha girato il mondo, è persona sensibile e poi mi voglio avvicinare alla mia terra. Visto che non posso cantare in lucano, che cambia accento da una contrada all’altra, canto il sud attraverso uno stampo napoletano, molto vicino alla mia famiglia». La verità è anche che D’Alessio le ha scritto un brano sugli amori tossici che pare cucito su misura: «Gli amori tossici possono accadere anche più volte nella vita. Anzi, può essere che ce li andiamo a cercare tutta la vita», commenta la cantante, che dice di esorcizzare i capitolo della sua esistenza attraverso le canzoni: «Quando sarò una nonnina, racconterò la mia vita ai miei nipoti cantando». Di napoletano in napoletano, Arisa – che durante il lockdown ha scritto canzoni in napoletano – dichiara di avere preso in considerazione ‘’O scarrafone’ di Pino Daniele per la serata del giovedì, quella dei duetti, su grandi classici del canzoniere italico. «Ma poi ne ho scelta una molto più bella». Malgrado l’embargo Rai su cosa accadrà quella sera – quasi svela il nome dell’ospite – tutti hanno capito che Arisa canterà Pino Daniele.
La domanda di rito: perché Sanremo? «Perché quando una cosa ti dà tanto, devi restituire. Noi siamo intrattenitori e io vado a fare il mio lavoro». Con altrettanto pragmatismo e onestà intellettuale, a chi le chiede che gran casino sarà il Festival tra i 150 tamponi al giorno, i baci proibiti e le interviste a distanza, l’artista risponde: «Siamo persone privilegiate e non abbiamo le difficoltà di chi si alza tutte le mattine per andare a lavorare. Quello che ci viene chiesto a Sanremo è di avere cautela, e non è la fine del mondo». Sanremo che «si deve fare, non si può fermare tutto. Parliamo tanto dei lavoratori dello spettacolo, del venire loro incontro: questa può essere occasione per rimettersi ‘in bolla’. Tirarsi indietro sarebbe stato un errore».
Arisa ama «la musica in tutte le sue forme», duetterebbe volentieri «con Stevie Wonder»; quando vide per la prima volta Chris Martin dei Coldplay disse «è l’uomo che voglio sposare», è contenta di ‘Amici’ (noi che la stimiamo tanto, molto meno), si sente fortunata («Non avessi fatto questo lavoro, non avrei suonato a Tokio, a New York, e tutte la altre cose meravigliose che ho fatto e quelle che verranno»). Tiene tanto alla tradizione melodica italiana («Noi italiani vogliamo sempre assomigliare all’America, ma abbiamo ancora tanto da dire e da dare») e le manca terribilmente il contatto con il pubblico: «Dopo il concerto alla Casa del jazz di Roma non ho potuto salutare le persone se non dalla finestra. Mi sono sentita il Papa». Senza riferimenti religiosi, «il fatto che la vita ti metta nelle condizioni che la tua voce venga ascoltata è un grandissimo privilegio. Io canterei ovunque, e l’ho sempre fatto, dal primo anno della mia carriera non mi sono mai tirata indietro. La gente è gente ovunque. Non vedo l’ora che si riparta, nel frattempo faccio quello che c’è. Anche perché a fare tutto il resto sono un disastro».
Crede nella bontà delle donne, Arisa, «in quanto madri anche se non partoriscono», le donne «che spesso fanno di tutto per complicarsi la vita», ma anche le donne che resistono all’ambiente discografico «che ai suoi vertici ha tanti uomini ed è molto difficile riuscire a uscirne fuori, soprattutto quando gli anni passano e ti fanno notare che prima eri una cosa e adesso sei un’altra» (dopo Warner e Sugar, Arisa è ufficialmente, finalmente, un’indipendente). Rispetta l'immagine – «‘Sincerità’ non avrebbe avuto il riscontro che ha avuto se non mi fossi presentata in occhialoni e calze bianche di filanca, è sempre importante vestire la canzone» – e a questo proposito si sente un po’ Bowie: «In un documentario disse che se si trovava con una persona con un determinato accento, dopo un po’ prendeva quell’accento, e se un tizio aveva i capelli lunghi, lui si faceva i capelli lunghi». Meccanismo che a noi, più che Bowie, ricorda Leonard Zelig.
Dopo un’oretta di vero buon umore e una buona, buonissima dose di saggezza da music business, la domanda che non è di rito, ma che lo diventerà per tutti: cosa ti mancherà di Sanremo? «La calca per la strada e il pubblico, che ti fa capire se stai facendo bene o male. Quando canto, io guardo le persone negli occhi. È dai loro occhi che capisco se le sto rendendo felici o meno».