Spettacoli

Con Kim Ki-duk muore la poesia del cinema

Ugo Brusaporco ricorda il regista coreano da poco scomparso

Kim Ki-duk a Locarno nel 2003 (Keystone)
12 dicembre 2020
|

Lo hanno cercato per qualche giorno in Lettonia dove era andato per acquistare una casa sulle rive del Baltico, poi hanno scoperto che era morto di Covid, 60 anni ancora da compiere. Lui, Kim Ki-duk, 25 film diretti, 32 sceneggiati, 20 prodotti, 15 di questi montati, 5 fotografati e in quattro ha anche recitato, ha regalato al mondo la poesia estrema di un paese, la Corea del Sud, dalla fragile identità, una identità di cui si sente figlio e vedovo.

Arriva al cinema tardi, nel 1996 con “Ag-o” (Coccodrillo), un film che già caratterizza la sua poetica dove violenza e amore si mescolano in un ambiente di degrado morale e sociale, con un vagabondo che aspetta sotto un ponte i suicidi per derubarli. Per capirlo basta sapere che non arriva al cinema per una via scolastica ma attraverso altre vicende personali e artistiche: a 17 anni per mantenersi è operaio in fabbrica, a 20 firma per cinque anni in marina, vive una crisi religiosa. A 30 anni arriva a Parigi, dipinge e vende quadri in un vero stile bohémien.  A 33 ritorna in Corea e qui una sua sceneggiatura dal titolo già programmatico – ”Un pittore e un criminale condannato a morte” – vince il primo premio del Korean Film Council nel 1995, ne scriverà altre due prima di esordire con “Ag-o”.

Prima di salire alla ribalta alla Mostradi Venezia con “Seom” (2000; L’isola), gira “Yasaeng dongmul bohoguyeog” (1997) storia di due malavitosi, uno artista, che vengono coinvolti in una storia di violenza e sordidi innamoramenti. Nel 1998 il magnifico “Paran daemun” (Birdcage Inn) storia di una prostituta e di una famiglia borghese che da lei dipende. Finalmente sbarca al Lido “Seom”, un film che riesce a incrociare ibridamente la sua visionarietà con un iperrealismo pittorico provocante. Un film che apre un difficile cammino culturale per le sue decise posizioni verso il sesso e verso la violenza sugli animali, così se le femministe del suo paese lo denunciarono come colpevole di “pericoloso fascismo del pene", il British Board of Film Classification ritardò l'uscita del film nel Regno Unito a causa di casi di crudeltà animale. Alle accuse rispose: “Sì, mi sono preoccupato di questo fatto. Ma per come la vedo io, il cibo che mangiamo oggi non è diverso. In America si mangia manzo, maiale, e uccidete tutti questi animali. E le persone che mangiano questi animali non sono interessati alla loro macellazione. Gli animali fanno parte di questo ciclo di consumo. Sembra più crudele sullo schermo, ma non vedo la differenza. O forse sì, c'è una differenza, quella culturale".

Il cammino del regista si sta poeticamente completando non aiuta il pubblico lo sfida svelando le intime trame di una società che vede lercia. E finalmente conquista tutti con il superbo “Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom” (2003; Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera), qui il cinema diventa colta riflessione sul tempo, e il tempo diventa paesaggio e gesto. Ed è proprio Locarno a scoprire questo capolavoro senza saperlo premiare: la giuria preferisce il pakistano “Khamosh Pani: Silent Waters”. Le torri gemelle sono cadute da poco e il tema del film di Sabiha Sumar si lega proprio alla radicalizzazione dell’estremismo islamico; la poesia estrema di Kim Ki-duk non basta.

Nel 2004 si prende il premio come miglior regista a Berlino con Samaria (La samaritana) e ancora come miglior regista a Venezia per Bin-jip (Ferro 3 - La casa vuota ). Ormai è un regista affermato e i Festival lo cercano e i suoi film incontrano il mondo. Nel 2005 arriva a Cannes a Un Certai Regard con Hwal (L’arco) poi di getto  “Shi gan” (2006; Time), “Soom” (2007; Soffio) che lo porta nel concorso ufficiale a Cannes, e “Bimong“ (2008; Dream) che segna il suo destino. Durante le riprese successe un incidente che quasi costò la vita all’attrice Lee Na-yeong, sotto processo va la sua estrema violenza segnata ora da un importante solitudine e dall’imperante sessualità. L’incidente lo segna, si isola per un lungo periodo, poi decide di girare con una piccola videocamera digitale, un film autobiografico, Arirang (2011) una riflessione su se stesso e sul suo fare cinema che gli vale il primo premio a un Certain Regard a Cannes, è l’inizio di un altro periodo d’oro,  dopo “Amen” (2011) a Venezia 2012 il suo film “Pieta” vince il Leone d'oro. Dirige “Moebius” (2013) e con “One on One” (2014), vince le Giornate degli autori a Venezia. Poi fa in tempo a girare ancora “Seu-top” (2015) sulla tragedia nucleare di Fukushima, il durissimo” Geumul”  (Il prigioniero coreano, 2016), sul tragico destino di un pescatore nord coreano, il fantastico “Inkan, gongkan, sikan grigo inkan” (2018) e l’ ultimo “Din” (2019) che presto forse vedremo.

Con lui il cinema perde la poesia dell’oggi, uno sguardo profondo irritante e vero. Il resto è Netflix.