A Lugano l'8 dicembre con tutta la sua storia, incluso quel singolo ‘bestiale’ che fece innamorare Silvio e Veronica e per il quale appare in ‘Loro’ di Sorrentino
L’avevamo lasciato nel 2017 nelle acustiche stanze della Rsi a suonare il suo ‘Gigi’, album dedicato al padre con dentro i classici di un’intera carriera rivisitati in chiave jazz con il Paolo Di Sabatino Trio. Fabio Concato torna a Lugano domenica 8 dicembre, nella Sala Teatro del Lac alle 20.30 (info e prevendita: 058 866 42 22), con l’‘Open Tour’ che gira l’Italia senza connotazione di album. Al suo fianco, questa volta, il quartetto formato da Ornella D’Urbano (arrangiamenti, piano e tastiere), Stefano Casali (basso), Larry Tomassini (chitarre) e Gabriele Palazzi (batteria). Quelli di ‘Tutto qua’, ad oggi l’ultimo, splendido, lavoro di inediti. Partendo da un libro e anche da un film – ‘Loro’ di Paolo Sorrentino, nel quale Fabio interpreta sé stesso alla chitarra in ‘Domenica bestiale’, che fu canzone di tali Silvio e Veronica – riviviamo per aneddoti tratti di storia in cui la musica arriva prima del resto (come sempre dovrebbe...).
È vero e credo sia una cosa molto bella, perché mi accorgo di riempire spesso i teatri senza essere palesemente presente sul mercato discografico. Mi viene da pensare di aver seminato bene, oltre che essere stato fortunato.
La prima, ma pure la seconda. È anche un fatto di storia che girava in un certo modo, di discografia e di talent scout che adesso non esistono più. Fatta salva Maria De Filippi, è ovvio, la più grande talent scout d’Europa...
Sì, assolutamente (ride, ndr). Vedi, noi ridiamo, ma sai qual è la tragedia? È che è vero. Chi altri tira fuori dalla tv ballerini, cantanti e attori? Lo faceva Costanzo...
Gigi, mio padre, lo chiamava Schizzo, perché Enzo (Jannacci, ndr) era una pallina. A casa nostra saltava come un grillo da una stanza all’altra, e sul pianoforte. “Dai Gigi, vieni qui”, “Dai Gigi senti qui!” (con buona imitazione di Jannacci, ndr). E se mio padre diceva “Enzo...”, era perché stava perdendo la pazienza. Era Schizzo anche per mio zio, che ha suonato parecchio con lui. Anche se si sono visti poco, Enzo e mio padre si sono voluti molto bene.
Sì, una barchetta svedese regalataci da nostro padre. Andava come un siluro. Io e mio fratello avevamo detto a Enzo di stare attento perché sembrava facile da governare, ma con quel vento... E in pochi secondi l’albero era rotto. “Se me lo dicevi prima che c’era il vento...” (cita, imitandolo, il Jannacci di ‘Se me lo dicevi prima’, 1989, ndr).
Sì, mia e di Giorgio Porcaro. Con un risvolto triste, e cioè che Giorgio non è mai riuscito a superare il problema che l’unico identificato con quella parlata sarebbe poi stato il solo Abatantuono. Quando Enzo mise tutti e due nello spettacolo ‘La tappezzeria’, li fece parlare entrambi così. Jannacci ha sempre avuto un occhio di riguardo per Diego, perché persona di umili natali, perché la mamma era guardarobiera al Derby e perché entrambi, Diego ed Enzo, avevano le medesime origini proletarie.
‘Zio Tom’ mi è venuta in mente come ‘A Dean Martin’ (brano del 1977 cantato in un misto d’italiano e americano maccheronico, ndr). Ero ancora molto attento alla politica, soprattutto a quella americana. Ricco, potente, bravo, Dean Martin decisi di colpirlo al cuore facendolo incontrare con uno dei primi travestiti. ‘Zio Tom’, invece, era la fake news del prototipo del domestico di colore, quello che in casa “non si fa niente, neanche mezza polpetta senza che l’abbia vista io”. È il presunto stupido, quel nero totalmente artificioso che non è mai esistito se non nella mente malata degli americani.
Un uomo di una tristezza infinita, con questa moglie della cui rassegnazione non si accorge. E pensa che le aveva fatto anche prender la patente, e comperato tutti gli elettrodomestici...
Sì, per un paio di anni. Tra il 1977 e il 1979 avevo pubblicato tre dischi, ma dopo ‘Zio Tom’ mi resi conto che non era successo nulla e caddi in una profonda prostrazione. Mi dissi che avrei dovuto fare qualcosa, perché era insopportabile vedere mia moglie uscire per andare a lavorare mentre io me ne stavo in casa. Il fiorista, unitamente a un po’ di terapia, mi salvò...
Non era un convincimento, ma rispetto a quel che avevo scritto sino ad allora mi sembrava molto diversa. Poi ho capito che era una canzone molto sentita, molto vissuta e anche un po’ furba, e con qualche possibilità di avere successo. Comunque, fino ai primi passaggi in radio, non avevo capito del tutto quel che avevo scritto. È successo anche che dopo due o tre anni l’avevo cantata così tante volte che non potevo più sentirla. Ma quello credo sia fisiologico per tutti i grandi pezzi che ti chiedono di eseguire sempre, e se non li fai ti menano. Però, a distanza di 40 anni, trovo che sia meravigliosa, e non perché l’ho scritta io, ma perché aveva le caratteristiche giuste.
Quando me l’ha rivelato Sorrentino, dicendomi: “Non so quanto ti possa far piacere... (ride, ndr) ma è così, mi sono documentato”. Mi ha detto: “E se ti chiamassi per fare questa cosa, la faresti?”. Io gli ho risposto che non avrei mai voluto risultare come uno dei suoi cantori, cosa che non sono mai stato. Paolo mi ha assicurato che non correvo rischi. Disse “Anzi, poi nel film Apicella ti vorrà morto...”.
Fantastica, hollywoodiana, con bellissime pause durante le quali è stato bello scambiare due parole con Servillo, Elena Sofia Ricci, con Paolo che è persona affettuosissima, e con tutte le maestranze. C’era aria di kolossal. Un conto è girare un video musicale, altra cosa è avere intorno centoventi persone, anche se si trattava di un playback...
Sì. Ma affinché non si capisse che era un playback, ho imposto a Sorrentino dei campi molto, molto lunghi (ride, ndr). Scherzo, non mi sarei mai permesso.
Non esattamente. La pioggia è stata aggiunta con l’elettronica, ma io venivo bagnato davvero. Ogni volta che mi asciugavo un po’, arrivava un tizio con l’innaffiatoio. Mi hanno ‘fatto su’ come una salsiccia, dentro una specie di domopack trasparente per evitare che l’acqua finisse nelle ossa. Non era un settembre caldo e tirava un gran vento.
Non so, credo di sì. Almeno secondo me e secondo quelli che mi vogliono bene. Guai a farmi vedere lì, ma soprattutto per me, perché non saprei cosa dire, mi sentirei in imbarazzo. Non voglio dire “con tutta la stima che ho per lei”, ma “con tutto il rispetto per il suo mestiere”, la sua è una televisione, credo, molto pericolosa.
Credo proprio che fosse casa di mio fratello, che purtroppo se n’è andato poco tempo fa. Ti dirò di più, forse era la sera in cui l’Italia vinse i Mondiali di Spagna.
Se non fosse stato per la musica sarebbe stato un bel problema. Non credo di saper fare molto di più. Fino a una certa età avrei fatto un mestiere fisico. Non voglio dire il contadino, che ci devi nascere e ti spacca in due. E poi oggi, la terra, nemmeno ti basterebbe lavorarla, forse ti chiederebbero di esserne anche un buon manager. Ero partito per fare lo psicanalista e lo psichiatra, studiavo per arrivare lì. È stato il cabaret a rovinare tutto. Cabaret che ho anche utilizzato come alibi, sono sincero.
Ah certo, se è per questo me lo diceva anche il mio psicanalista. Mi ha ascoltato per molto tempo e mi diceva che sarei potuto essere un buon medico.