Si può non amare il cinepanettone, altroché, ma il cantante è inattaccabile. A Lugano, Christian ha raccontato Christian De Sica e molto altro. Applausi, sipario.
Per chi tiene ai capelli e mai gli è venuto in mente di strapparseli per i suoi film, c’è un Christian De Sica davvero inattaccabile che è un piacere ascoltare. È il cantante, il crooner. È il De Sica che di mercoledì sera entra dal fondo di un Palacongressi quasi gremito, stringe mani, bacia e abbraccia, invita tutti a farsi “’na pizza alla fine dello show” e attacca a cento all’ora ‘’S Wonderful’ con swingante band dai puntualissimi e affiatatissimi fiati al seguito (dirige al pianoforte il maestro Riccardo Biseo, già compagno di lavoro del defunto Manuel, fratello maggiore del cantante). ‘Christian racconta Christian De Sica’ è davvero, come anticipato dall’artista, «una cosa tra amici». È vero, prima dell’inizio, sullo schermo a centro-destra-palco scorre italianità varia della quale l’italiano (soprattutto quello all’estero) non sempre va fiero, anzi; una tradizione di emissioni orali e intestinali, sguardi allupati, gesti dell’ombrello e altri vaffa che non fanno del cinepanettone una sottocategoria del neorealismo.
Ma di quel tipo di cinema, l’attore è il primo a fare autoironia e indiretta critica, lanciando un dardo a chi gli ha confezionato il trailer ‘alla cinepanettone’ del suo ultimo ‘Sono solo fantasmi’, che cinepanettone non è (perché una volta tanto è commedia, e pure ben riuscita).
Sono gli aneddoti a condurre le danze, guidati dal moderatore Pino Strabioli e legati ad arte da un canzoniere che si apre con Lelio Luttazzi – ‘Canto (anche se sono stonato)’ – e passa per Sinatra, destinatario di un clamoroso due di picche (“Voleva fare un film con me, ma pretendeva di fare un cinese”, dirà Vittorio al figlio. “Con quella faccia da americano?”). Da ‘Fly me to the moon’ si passa al tema da ‘New York, New York’ per ricordare Liza Minnelli rinvenuta completamente sbronza sotto il pianoforte di casa De Sica; non prima di aver ricordato l’esordio del Christian cantante allo Sporting Club di Montecarlo davanti al Principe Ranieri e consorte, davanti a Rudolph Nureyev, al cantante brasiliano Sérgio Mendes e al grande Gene Kelly. Montecarlo, dove il pubblico «non è lì per sentirti cantare, ma per controllare come sei vestito».
Sul palco del Palacongressi, piano piano, si fa strada uno spaccato della gente di spettacolo che potrebbe durare giorni, lungo il quale sfilano Alberto Sordi – cantato in ‘Breve amore’ (da ‘Fumo di Londra’) e ‘Ma ’ndo Hawaii’ (da ‘Polvere di stelle’) – Charlie Chaplin, «quel signore scemo che gioca col cappello» già raccontato alla ‘Regione’ lo scorso 20 novembre, il Boldi «pessimo batterista, meglio il fratello», Carlo Verdone ‘comprato’ a versioni di greco (De Sica sposerà la sorella) e il primo ‘Vacanze di Natale’, capace di risollevare le sorti di un figlio disoccupato al quale quel padre-regista da quattro Oscar, ritratto ai tavoli del jet set con i grandi della terra e donne come Maria Callas, Grace Kelly e Bette Davis, non avrebbe lasciato una lira. «Ma io non ho amato solo il regista», dice Christian, «ma soprattutto l’uomo, con tutte le sue incongruenze»; anche il giocatore patologico, il capofamiglia di due famiglie e genitore di almeno altri tre figli palesatisi più tardi, l’uomo «di un’altra epoca», e non sempre nel senso più virtuoso del termine.
Prima della fine, canta la Napoli tanto cara a Vittorio in ‘Munasterio ’e Santa Chiara’, la città chiassosa che zittisce sul ciak di ‘Matrimonio all’italiana’: «Signori, qui è Vittorio De Sica che parla. Dovrei girare una scena con la signora Sophia Loren e il signor Marcello Mastroianni e avrei bisogno di due minuti di silenzio». E dopo i due minuti di silenzio, il regista dice: «Grazie», e i vicoli rispondono «Prego».
Si viaggia (soprattutto) con papà così, fino agli ultimi ricordi: la telefonata della madre che gli chiede di correre a Parigi e il vecchio regista con un filo di voce che dal letto d’ospedale indica al figlio il vestito blu portatosi da casa, «che poi, quando esco di qua, andiamo a Montecarlo o a Campione»; che chiede un whisky con ghiaccio, gli raccomanda la madre e il fratello e, come ultime parole, affinché la morte sia lieve ai propri cari più che a sé, si produce nell’ultimo, sofferto apprezzamento per il fondoschiena di un’infermiera.
L’arrivederci a Lugano è affidato a ‘Parlami d’amore Mariù’, nel repertorio di tutti i cantanti, per bissare ancora col Luttazzi di ‘Chiedimi tutto’. Alla fine, Christian ha raccontato Christian De Sica. E molto altro.
Applausi, sipario.