Non la solita storia sulle origini del popolare nemico di Batman, ma un ritratto senza sconti dei conflitti sociali
Che cosa può fare un bravo regista con l’oscura Gotham dei fumetti, i suoi eroi e i suoi cattivi? Tim Burton ha realizzato un bel ‘Batman’, Christopher Nolan un convincente ‘Cavaliere oscuro’, Zack Snyder un ‘Batman v Superman‘ a tratti apprezzabile.
Poi c’è Todd Phillips che non solo realizza un bel film – due ore senza neanche un calo o una sbavatura, fotografia e musiche di gran classe –, ma prende quel materiale, lo trasforma, lo trasfigura e ne porta alla luce le potenzialità – come finora solo alcuni grandi autori di fumetti (o ‘graphic novel’ come chissà perché si usa chiamarli adesso) hanno saputo fare. Il suo ‘Joker’, premiato a Venezia e in attesa di raccogliere Golden Globe e Oscar, più che un racconto delle origini del celebre supercriminale, è un impietoso ritratto della società e dei suoi insanabili conflitti,
Perché prima di Joker, prima del clown psicopatico che porta morte e disordine, c’è Arthur Fleck, comico fallito che cerca comprensione e affetto. Ma i cittadini di Gotham City sono troppo disillusi arrabbiati, per provare un po’ di empatia di fronte alla risata nervosa di Arthur, conseguenza di una qualche lesione cerebrale. I vicini di casa lo allontanano, i ragazzini lo picchiano per strada, il padrone dell’agenzia di clown per cui lavora gli toglie dalla paga il costo del cartello con cui è stato picchiato, gli amici gli voltano le spalle alla prima occasione, l’assistente sociale che lo segue lo scarica per tagli al budget.
Solo la madre, anziana e malata, sembra stargli vicino, e anzi lo incoraggia a sorridere, a portare un po’ di allegria in un mondo incapace di ridere. Ma quando questo ultimo appiglio viene meno, quando scopre un oscuro segreto che coinvolge anche il ricco Thomas Wayne – il padre di Batman, qui mostrato in tutta la sua arrogante indifferenza verso i bisogni degli altri –, ad Arthur Fleck non resta che indossare quell’unica maschera che qualcuno ha mostrato di apprezzare: Joker, il clown che nella metro ha vendicato anni di soprusi e frustrazioni uccidendo tre agenti di cambio, diventando il simbolo della rivolta dei poveri, degli ultimi della società, verso i potenti.
Il che probabilmente spiega come mai, negli Stati Uniti, la polizia abbia deciso di presidiare alcuni cinema dove proiettano ‘Joker’. Ma, al di là delle legittime comprensibili preoccupazioni per le sparatorie, il film non è una celebrazione della violenza, non è un invito agli ultimi ad ottenere giustizia mettendo la città a ferro e fuoco. Semplicemente perché non c’è giustizia, né nelle azioni di Joker o dei cittadini in rivolta, né in quelle della polizia o della famiglia Wayne. Un incubo nichilista, come l’ha definito qualcuno, probabilmente difficile da mandar giù per chi vuole continuare a credere che tutto sommato si possa continuare a dividere il mondo in buoni e cattivi.
Anche per questo non ha senso confrontare l’incredibile interpretazione di Joaquin Phoenix in questo film con quella degli altri attori che in passato hanno dato volto o voce a Joker. Perché Jack Nicholson, Heath Ledger, Jared Leto e Mark Hamill sono stati dei Joker più o meno convincenti e inquietanti, ma Joaquin Phoenix è innanzitutto Arthur Fleck, con il suo dolore, il suo disagio, la sua rabbia. Solo alla fine diventa Joker, in un intenso finale che inizia con Arthur ospite dello show di Murray Franklin (un convincente Robert De Niro) e finisce con la rivolta nelle strade e la morte di Thomas Wayne che poi porterà alla nascita di Batman. Ma questa è un’altra storia che speriamo Todd Phillips non abbia voglia di raccontare, perché il suo ‘Joker’ è perfetto così.