City of Guitars a Locarno, oggi e domani tra la Piazza Grande e la Sopracenerina. Intervista al chitarrista storico, con piccola lezione di musica annessa
Quella volta che il sindaco di un paesino siciliano, per sopperire al mancato pagamento del noto cantautore che non accettava assegni, si affacciò dalla finestra e disse ai portantini della statua del patrono: “Forza, facciamo fare un altro giro al Santo”. E il noto cantautore fu pagato con le offerte. La storia della musica è zeppa di aneddoti irresistibili, e il rischio di passare del tempo con Massimo Luca è che ti prenda la frenesia del farseli raccontare, quanti più possibili. «Fa parte del folklore italiano, ci sono migliaia di questi episodi di cui la gente non parla, ma che sono veri» commenta il chitarrista, uno che se solo prendi in mano una chitarra acustica prima o poi passi dalle sue parti. Gli si deve la scoperta di Gianluca Grignani, il lancio di Biagio Antonacci e Fabrizio Moro, la sua acustica è in mezzo Italian Songbook e, non ultimo, lo si vede ‘strummare’ in uno dei momenti storici della musica in tv, il Mina-Battisti dell’aprile del 1972.
Vorrei partire dal 2013, dal tuo libro ‘Rock the monkey’: cos’è di preciso un “manuale di sopravvivenza per non perdersi nel mondo della musica”?
Il titolo è un po’ bugiardo. È anche un manuale, ma soprattutto è una testimonianza di vita vissuta. L’ho scritto insieme a David Spezia, che è stato un grande esecutore, nel senso che ha interpretato la mia anima, gli sono grato. La mia intenzione era quella di aiutare i giovani che non sono stati avvisati, che non sapevano nulla dei rischi di un mestiere che sembra facilissimo ma che invece facilissimo non è. Il libro, però, lo vendo principalmente a quelli della mia età, oltre i cinquanta, che sono curiosi di sapere come la penso, come ho affrontato la mia carriera. Io sono contento, per carità, il libro non ha tempo.
Fare musica – uguale - non fare un bel niente facendo soldi a palate, l’idea di molti...
Sì, è nel capitolo dei luoghi comuni. È ‘il musicista’ nell’immaginario collettivo. Cosa che può anche diventare reale, ma che non serve a nulla ai fini di questo mestiere. L’idea è ‘Io adesso suono e canto e non farò niente per tutta la vita’. E invece questo è un mestiere durissimo, magari non come andare in miniera, ma con rischi altissimi, come quello di avere successo, non sapere come gestirlo e ritrovarsi nel giro di un anno o due completamente bruciati, senza alcuna possibilità di rientro. Una cosa di cui nessuno parla mai.
Ti ho conosciuto come milanese, ora scopro che sei nato a Santa Margherita Ligure. Liguria terra di cantautori, tutto quadra: sei un predestinato...
Non è proprio così (sorride, ndr.). I cantautori ti scelgono non per questione di terra o solo per questione di tecnica. Senza scendere a bassissimi livelli, al di là del fattore ‘C’, che sai quanto sia importante, nel libro dico che la componente umana è fondamentale. Come ci si approccia, come ci si riesce ad aggregare alle persone e soprattutto agli artisti, che non è semplice. L’artista è un po’ il centro dell’universo, ha scarsa attitudine alla riconoscenza e alla generosità, coglie sempre le energie di chi gli sta attorno perché ne ha bisogno, è un essere insicuro che va rassicurato, è un universo abbastanza complicato. Credo che la mia fortuna sia stata di avere questo carattere socievole, di poter tirare fuori dalle tasche un sorriso sempre pronto. Ecco, “rassicurante” è la parola giusta. Prima della bravura dell’esecuzione, davo sicurezza al prodotto intero, assicuravo uno standard di buon livello e dal punto di vista umano non ero un rompiballe. Sono stato un buon mediatore nei momenti difficili.
Non per farmi gli affari suoi, ma un po’ si: Lucio Battisti che tipo era?
Persona lucida durante il lavoro, non si distraeva. Non era simpatico nel senso che era attento a quel che stava facendo. Come tutti gli esseri umani, d’altra parte. E quando aveva quei rari minuti di simpatia bisognava anche ridere alle sue battute, che non erano sempre riuscitissime (ride, ndr.)
Quel che hai suonato per lui, le parti di chitarra, come uscivano?
In totale libertà. Non avevamo nessuno scritto davanti se non uno strafalcetto con sopra quattro accordi. Non c’era una parte da eseguire. Ognuno di noi dava il suo contributo artistico, metteva del suo. Per lui e per tutta la canzone italiana che seguì, noi fummo lo spartiacque tra l’orchestrale normodotato che aveva studiato al conservatorio per poter leggere uno spartito anche al contrario e gli improvvisatori con il talento, con la marcia in più rispetto alla semplice esecuzione. Essere buoni esecutori non è una cosa facile, ma nemmeno troppo creativa.
La tua chitarra è anche in ‘Franziska’ di Fabrizio De André...
Sì, ma con Fabrizio sono stato sfortunato perché con lui ho lavorato in un periodo in cui non stava bene. Non siamo entrati in contatto tanto da poter dire che ci conoscevamo. È il mio grandissimo rammarico, l’avere avuto la mia occasione in un momento non fortunato.
Battisti quasi mette in ombra il resto delle tue collaborazioni. Possiamo citarne altri?
C’è Pierangelo Bertoli, con cui ho avuto una lunga collaborazione. C’è Fabio Concato, con cui ho lavorato dal 1978 fino all’altro ieri (‘Tutto Qua’, 2011, ndr.). Ora ha preso la strada del jazz, è un grande artista e anche un grande interprete, ha fatto un passo qualitativamente importante, magari poco commerciale, ma sicuramente importante. Nei trent’anni con lui, quasi un matrimonio, si fidava ciecamente di me. È stata una collaborazione, oltre che lunga, di grandissima qualità, arrivata nel cuore del progetto per farne più di un album, per creare una personalità artistica. Fabio lo sa, ne è consapevole, credo che ne sia felice. E ogni tanto ascolto 'E' festa' e mi rendo conto di aver fatto proprio un buon lavoro...
E Guccini?
Con Francesco ho registrato sette album, fino ad ‘Argentina’, dove ho incontrato questo giovane argentino, Flaco Biondini, rendendomi conto che il mio posto sarebbe saltato di lì a poco. Flaco era una persona speciale, diventò intimo amico di Francesco e io capii che avrei perso il posto. Lo dico con serenità, gli anni con Francesco sono stati meravigliosi, la persona più simpatica che abbia conosciuto in vita mia. Mi ha ammazzato dalle risate, a tavola si faceva fatica persino a mangiare.
Anche quest’anno spiegherai Battisti a Locarno. Che pubblico hai avuto e avrai davanti?
Ho trovato grande attenzione. Un pubblico molto disomogeneo, dai ragazzi agli anziani, a “donne e bambini”, per dire di una componente molto variegata. Mi fa piacere. Al di là del puro gossip, c’è un interesse culturale, parlo anche a nome di tutti gli ospiti. I seminari hanno sempre avuto un grande successo, anche l’anno scorso. Ad ascoltarmi sono ci sono solo chitarristi, ma si va dai tifosi dei cantautori a quelli che ascoltano la radio e semplicemente cantano sotto la doccia.
È più forte di me. Con Lucio Battisti: quella volta che...?
Quella volta che cambiai un accordo in ‘Il mio canto libero’. Stavamo provando la canzone e anziché un do maggiore ci misi un do settima maggiore. S’inalberò (edulcorato, ndr.). Disse: “Fermi! Chi è l’americano del tubo?” (edulcorato, ndr.). Sentì l’accordo ‘strano’, e a me sembrava che quell’accordo sospeso ci potesse stare. Mi devo riconoscere l’avere avuto un coraggio da leoni. Oggi non lo rifarei, ma quando si è giovani si è anche un po’ incoscienti. Lucio s’imbestialì, credo abbia pensato ‘Ma chi ti credi di essere per cambiare gli accordi a Lucio Battisti!’. Quando venne verso di me pensai che mi volesse addirittura menare. Mi chiese che accordo avessi suonato, glielo feci risentire e si rabbonì, tornando alla sua postazione. Alla fine, ‘Il mio canto libero’ l’abbiamo registrata così.
Con il tuo accordo?
Si, con il mio accordo. Vedi, anche lì c’è la grandezza del genio, perché nessun altro avrebbe accettato. Quando dico ‘presenza di spirito e lucidità di pensiero’, lui in quel momento, senza troppo pensare a chi l’avesse trovato quell’accordo, aveva capito dentro di sé che sarebbe funzionato meglio del suo. Sia chiaro, non è che disse grazie. Fu come se l’avesse trovato lui (ride, ndr.). Gli artisti, è risaputo, sono fatti così...