A primavera ne abbiamo voglia, a settembre non se ne può più: abbiamo riassunto le canzoni che ci hanno tenuto compagnia (ma anche no)

‘Juke-box’ è uno dei pochi vocaboli che i francesi non si sono orgogliosamente tradotti per sé. Le estati pre-digitali si svolgevano così, infilando una monetina dentro una sofisticata scatola musicale un po’ ingombrante, ma che gli artigiani della Wurlitzer avevano già reso un oggetto d’arredamento. Dentro, una pila di 45 giri a fare da playlist. E alla fine dell’estate, vinceva il più “gettonato” (il sostantivo viene da lì, vedi sotto). Oggi, ogni compagnia telefonica ha il suo ‘Award’ della musica, ma c’è stato un tempo in cui il re della spiaggia era uno soltanto. Lo decideva il Festivalbar, manifestazione che dal 1964 al 2007 ha premiato gli annuali tormentoni estivi. Quando il juke-box era il media di riferimento per misurare il successo di una canzone, un congegno applicato all’apparecchio ne contava il numero di riproduzioni; dagli anni 80 in avanti, a dettare legge saranno i passaggi radiofonici, televisivi e i risultati di vendita. Meccanismi a parte, in ogni epoca, a fine stagione, tutti a Verona nell’anfiteatro musicale per antonomasia a celebrare il vincitore (che di norma cantava in playback).
Qualunque sarà l’esito di vendite, streaming, Tubo e premi tv, l’estate 2019 ha già due vincitori: uno è il reggaeton, una cosa che minaccia i neuroni più dell’inarrestabile processo d’invecchiamento umano (vedi sotto); l’altro è Jovanotti, che il juke-box se l’è portato in spiaggia. Anzi, nelle spiagge italiane, tra le ire degli ambientalisti, Lorenzo ha portato se stesso e i tormentoni di tutta una carriera, per un successo di bagnanti che nemmeno il Ministro dell’Interno (per altro in versione one-man-band e con un paio di tormentoni abbondantemente riciclati). Nell’estate della sua ‘Nuova era’, a Jovanotti si deve un’innovazione, l’aver pubblicato non solo un singolo estivo, quella cosa che per potenza evocativa va da ‘Sapore di sale’ arrangiata con poca voglia da Morricone (“Ma che divertimento, io lo facevo soltanto per guadagnare!”) a ‘California Girls’ dei Beach Boys; bensì un intero album, il ‘Jova Beach Party’, che di tormentoni ne conteneva almeno un altro paio.
E se si parla di tormentoni, ci apprestiamo a terminare l’estate come l’avevamo iniziata, in ostaggio di ‘Jambo’, di Takagi & Ketra, con Giusy Ferreri che si fa le treccine afro nel bel video girato “tra il cielo e la savana”. La Ami Winehouse di Abbiategrasso si giocherà il titolo con J-Ax, che da maggio imperversa con ‘Ostia Lido’ (titolo che all’ennesimo ascolto diventa bestemmia). Per Alessandra Amoroso, positiva e sorridente come non la si ricordava dai tempi di... (?), i Boomdabash hanno scritto un ‘Mambo Salentino’ che di salentino ha solo la location del video (Martina Franca); per la categoria ‘Primi pruriti estivi’, Benji & Fede tormentano da mesi con ‘Dove e quando’; per la categoria di chi vi scrive, The Giornalisti con ‘Maradona y Pelé’, sempre da ombrellone, sono lontani per tormentabilità da ‘Riccione’.
Limitatamente al numero di accordi, è piaciuta la diversamente bruna Katy Perry con ‘Never really over’ (con crescita un tantino evidente); quanto a Sheeran e Bieber, che hanno tormentato con ‘I don’t care’, meglio Avicii di ‘Tough love’ e il suo tormentone postumo. Dopo aver scandalizzato la onlus ProVita per un bacio saffico, LP ha cantato ‘Girls go wild’ dando un senso all’easy listening estivo. All’anagrafe è Laura Pergolizzi, nome con il quale sarebbe stato difficile sfondare (Giovanni Edgar Charles Galletto Savoretti, non a caso, si fa chiamare Jack). Detto questo, tutto il resto, se non noia, è stato afa.
Tra i tormentoni che meno hanno tormentato c’è stato Mika, che strizzando più di un occhio a Prince ha prodotto ‘Ice-cream’, canzone con la quale sostiene di avere affrontato “problemi seri e a volte dolorosi”, anche se a noi il verso “I want your ice-cream” dice altro. Non sono usciti dall’albergo Annalisa (‘Avocado Toast’) e Max Pezzali, Signore degli accenti spostati anche in ‘Welcome to Miami - South Beach’; un piede in spiaggia, per poi tornare in camera, l’hanno messo i Tiromancino di ‘Vento del Sud’.
Per la categoria (il titolo è lungo) ‘Il successo, credimi, si fa davvero fatica a capire come funziona’, stupisce il Gabbani un po’ gabbato da ‘È un’altra cosa’, pregevole inno latin-rock con chitarre alla Jeff Lynne che pareva tormentone quanto ‘Pachidermi e pappagalli’, ma rivelatosi tutt’altro che virale. Chiudiamo con la categoria ‘Vorrei ma non posso’, Lo Stato Sociale che, seminudo, ha cantato con Arisa e Myss Keta ‘DJ di m****’: malgrado lo sforzo, la volgarità fatta tormentone ha ancora nel ‘bippato’ Cristicchi di ‘Ombrelloni’ (2005) un punto lontano all’orizzonte (e sarà che anche l’abbronzatura da ‘Una vita in vacanza’, presto o tardi, sbiadisce per tutti).
Nella preistoria c’erano ‘pianetti’ e music box, che suonavano cilindri metallici o rotoli di carta in modalità ‘carillon’; ma alcuni contenevano anche strumenti veri. Fu verso la fine dell’Ottocento che comparvero le prime macchine capaci di riprodurre materiale pre-registrato. Bisognerà attendere gli anni 40, però, per chiamarli juke-box e assistere al loro boom commerciale, con apice negli anni 50 grazie anche all’avvento dei 45 giri. Wurlitzer, Seeburg e Rock-Ola (il modello ‘1422’ è nella sigla di ‘Happy Days’) furono le grandi fabbriche che trasformarono il primo ‘fonografo a monetine’ in ciò che oggi sarebbe il ‘device di riferimento’ per la musica, e dal quale le novità musicali passavano prima che nei negozi di dischi, facendo dei bar luoghi musicalmente social. Il declino del juke-box iniziò con l’invenzione della radio portatile (anni 50) e ancor più con il riproduttore a cassette (il decennio successivo), con il quale la gente, un po’ come accade oggi, poteva scegliersi la musica da sé. Del modello ‘President’, capolavoro di design datato 1942, sembra ne sia restato al mondo uno solo. “Se avete questa macchina chiamateci”, scrivono i collezionisti sul web. E noi giriamo l’invito ai nostri lettori (ci si possono fare fino a 150mila dollari).
C’è un fondamento nell’affermazione che ‘L'amour est un oiseau rebelle’, dalla ‘Carmen’ di Georges Bizet, sarebbe il primo brano reggaeton. E il fondamento – podio a parte – sta nella figura ritmica propria della habanera, danza di origine cubana giunta fino alle coste spagnole e fatta propria, a partire dall’Ottocento, non solo da Bizet, ma pure da Ravel (l’andamento lento, che tira al tango, accompagna anche il noto ‘Bolero’). Il reggaeton è definito “un ibrido di influenze caraibiche, latino-americane e statunitensi”, un’agglomerato ritmico di reggae e dancehall generalmente identificato con Porto Rico, patria degli esponenti più noti e dell’attuale re del genre Daddy Yankee (quello che, a proposito di tormentoni, appare in ‘Despacito’). Il primo brano reggaeton sarebbe nato un’ottantina d’anni dopo Bizet, cantato da Shabba Ranks: nella sua ‘Dem bow’, uscita nel luglio del 1991, sono contenuti gli elementi ritmici presenti nell’ottanta per cento di tutte le future produzioni reggaeton.
Romina Falconi è cantautrice di Torpignattara, alle porte di Roma, che per l’estate 2019 ha realizzato un piccolo tributo alla Signora con la falce, in collaborazione con il social media manager della Taffo Funeral Services, massima espressione della dissacrazione nel campo delle pompe funebri. La sua ‘Magari muori’ sta tra l’umorismo nero – “Mangiamo insieme fino a scoppiare, poi andiamo a nuotare” e “Mi sento fredda, ma ho un bel vestito, evviva ho la linea che ho sempre sognato” – e l’invito a farsi poche ‘paranoie’ (“Riporta al cielo il tuo corpo usurato per dare la prova che hai proprio apprezzato”). In quello che qualcuno ha ribattezzato “reggaetomb”, vincono per ironia listata a lutto i concetti “Perdona tutti, è facile, chissà che domani ti trovi il cartello all'alluce” e “Fai tanti selfie, ma guardati in giro, lo scatto migliore rimane il santino” (i nostalgici di ‘Urna’, manifesto funebre degli Elio e le Storie Tese alla ricerca di una “degna sepoltura”, apprezzeranno). Detto questo, buon autunno e – toccando il toccabile, dal ‘curniciello’ al metallo, sino alle preziose intimità – lunga vita a tutti...