Dalla Sardegna ‘Run Trip Life’, film che racconta una storia di disabilità e grandi idee chiamata Whable. Domani al Teatro centro sociale Osc Casvegno
I lampi e i tuoni (in pieno sole) di ‘Riders on the Storm’ dei Doors e scale, tantissime scale. Le più emblematiche sono quelle che portano al santuario di Bonaria, a Cagliari, la città di Marco Altea, uno che con le scale e altri ostacoli insormontabili per la sua carrozzina ci fa i conti da anni. L’amico Karim Galici lo ha diretto in un documentario intitolato ‘Run Trip Life’ (o anche ‘Il viaggio della vita’) che ha i Doors come canzone portante e Marco, cavaliere nella tempesta della sclerosi multipla, quale protagonista.
‘Sclerosi multipla’ è malattia che ha almeno un paio di sinonimi come ‘barriere architettoniche’ e ‘isolamento sociale’. Qualche tempo fa Marco ha ideato una piattaforma online grazie alla quale le persone con disabilità possono reperire e condividere informazioni di prima necessità sull’accessibilità – potenzialmente – di ogni luogo mappabile. Ha fatto tutto questo partendo dall’esperienza personale: «Qui dove vivo, la situazione è abbastanza difficile», ci racconta. «Abito al primo piano, per uscire devo prendere un ascensore che non è abbastanza grande per entrarci in sedia a rotelle. Serve per forza un accompagnatore che mi supporti e nei giorni scorsi colui che mi accompagna si è ammalato, e io sono rimasto prigioniero in casa».
L’idea di Marco Altea – imprenditore digitale, laureato in Antropologia Sociale ed Economia allo Sviluppo con un Master in Human Rights and Genocide Studies – si chiama Whable e ha vinto un concorso internazionale promosso da Google. Il premio consisteva in un viaggio nella Silicon Valley per presentare il progetto. Il nostro ci sarebbe andato anche prima del 2024 se non ci si fosse messo di mezzo il Covid. «L’idea è nata durante il lockdown, quando tutti hanno vissuto sulla propria pelle cosa significa essere confinati in casa, impossibilitati a uscire, a socializzare. Ma quando le restrizioni sono cadute mi sono reso conto che per chi è in carrozzina non è cambiato quasi nulla, la città è ancora piena di barriere e l’accessibilità resta un’illusione. Senza colpevolizzare nessuno in particolare, le città sono vecchie e non sono mai state ripensate per chi si trova nella mia condizione. Vale anche per le mamme con il passeggino, o per gli anziani. Nelle nostre città, quando si costruisce, all’accessibilità non ci pensa mai nessuno, è un limite culturale che dobbiamo cambiare».
‘Run Trip Life’ è il racconto del viaggio di Marco a San Francisco e prende il via da un locale di Cagliari nel quale Karim, a film completato, ha riunito le persone a lui care: il padre e la madre, l’amico Rubens, la sua compagna Marta e il loro bimbo, la fidanzata Amelia detta ‘Milly’, che con Marco condivide amore e altrettanta disabilità. È il padre di Marco, a un certo punto della storia, a ricordare l’inizio della malattia, diagnosticata al figlio nell’anno Duemila dopo dieci anni di ‘anonimato’: i primi sintomi a Londra, quando la stanchezza di un ragazzo da sempre esplosivo (lo dicono le videocassette registrate in gioventù) è parsa subito anomala. Poi, alla fine di una giornata di sole in spiaggia, la difficoltà ad appoggiare il piede, la diagnosi e “il mondo non è più quello di prima”, dice Marco nel film. “Con una diagnosi così non resta che rimboccarsi le maniche e trovare la voglia di vivere, perché è una nuova vita”. Nell’hotel in cui protagonista e regista alloggiano, Marco dice che è stato “dolorosissimo, però mi è cambiata la vita in meglio. Chi l’avrebbe mai detto: sono finito a San Francisco…”.
San Francisco è «una sorta di incoronazione della nostra idea», ci dice ancora Marco. «È stata un’esperienza incredibile, un mix d’ispirazione, di confronto e consapevolezza. Andare nel cuore dell’innovazione mondiale mi ha fatto capire quanto sia importante pensare in grande e costruire qualcosa che abbia un impatto reale». Nella sede della californiana Mind the Bridge, casa delle startup, «ho incontrato imprenditori, investitori e creatori di startup che stanno rivoluzionando il mondo con idee ambiziose e tecnologia avanzata. Ho conosciuto i creatori di una startup che si occupa del turismo per le persone disabili, che organizza viaggi su misura per chi è in sedia a rotelle. Tutti mi hanno dato consigli». Whable, dal canto suo, è «una sorta di Uber», ci spiega Marco, «agisce come un vero e proprio assistente per le persone con disabilità aiutandole a scegliere dove andare senza avere brutte sorprese. Non solo, nella piattaforma inseriremo la possibilità di entrare in contatto con degli ‘angels’, persone che operano su base volontaria o con criteri professionali, disposte ad assicurare l’accompagnamento. Qualcuno che, come nel mio caso, mi aiuti a uscire di casa nel caso il mio accompagnatore è malato. Questo perché la procedura per trovare accompagnatori è lunga e macchinosa».
Ambizioni e capacità di fare
Whable, intesa come piattaforma e web app, è ancora in via di finalizzazione. L’app per mobile ancora non c’è. «Stiamo cercando finanziatori che ci aiutino a finalizzare il processo». Marco ci tiene a sottolinearlo: «Siamo un’organizzazione di volontariato, i programmatori che ci stanno aiutando non hanno un tempo pieno da dedicarci. Questo aspetto rallenta inevitabilmente lo sviluppo, ma per quanto si vada piano, ci si continua a muovere e questo è un aspetto positivo». C’è dunque un aspetto finanziario che non si conclude con il premio all’idea. L’invito ai potenziali investitori è sottinteso.
Quanto al film, Marco – detto anche “il vulcano cagliaritano”, come lo chiamano i suoi collaboratori –, spiega: «Non è stato ‘premeditato’. Karim è un regista, è partito con me per San Francisco portando la sua videocamera con l’idea di creare contenuti che sarebbero tornati utili in futuro». E ne è uscito il documentario, che avrà una sua prima svizzera oggi pomeriggio alla Scuola Steiner di Minusio prima della proiezione di domani, 19 marzo, alle 18 al Teatro Centro Sociale dell’Osc a Mendrisio, con Marco e Karim in persona, anche per il dibattito annesso. «Karim è stato in grado di carpire le emozioni di questo viaggio. È importante inquadrare le persone disabili non come vittime e attori passivi, ma come persone che hanno sogni, ambizioni e capacità di fare».