Notizie vere ma esposte in modo fuorviante e utenti che condividono valanghe di contenuti: questi i meccanismi della disinformazione secondo recenti studi
La disinformazione e le fake news che corrono sui social media si basano su due meccanismi particolari, ora svelati da altrettanti studi condotti sugli utenti americani di Facebook e X: il primo sono le “false verità”, vale a dire notizie essenzialmente vere ma presentate in modo fuorviante, mentre il secondo riguarda una specie di super-influencer, utenti che condividono valanghe di contenuti e che risultano essere perlopiù donne di mezza età.
Questa informazione malata e il suo impatto sul mondo reale sono stati analizzati da due ricerche pubblicate sulla rivista Science: la prima è guidata da Jennifer Allen del Massachusetts Institute of Technology, mentre la seconda da Sahar Baribi-Bartov dell'Università israeliana Ben-Gurion.
La disinformazione è ormai diventata un'importante minaccia per tanti settori, dalla ricerca scientifica alla salute pubblica alla politica. E per sfuggirle non basta cercare di informarsi al di fuori dei social media, anzi: uno studio pubblicato su Nature nel 2023 ha dimostrato che si tratta di un comportamento spesso controproducente, perché aumenta il rischio di imbattersi in siti che corroborano le notizie false, una trappola alla quale non sfugge neanche l'Intelligenza Artificiale di ChatGpt.
La lotta al problema è dunque più complicata di quanto possa sembrare, anche perché spesso il fenomeno assume sfumature diverse a seconda dell'argomento e anche del Paese, come ha evidenziato una recente ricerca italiana dell'Università Ca’ Foscari di Venezia, pubblicata sulla rivista Plos One: ad esempio, i risultati indicano che in Italia la disinformazione riguarda meno Covid e coronavirus, ma è più problematica per temi come la Brexit.
Il tema del Covid ritorna nel primo dei due studi usciti ora su Science, che ha valutato l'impatto di oltre 13mila notizie accurate ma ingannevoli sui vaccini anti-Covid, condivise da circa 233 milioni di utenti Facebook statunitensi nel 2021. Un esempio di questa tipologia di contenuto lo fornisce la storia pubblicata dal quotidiano americano Chicago Tribune col titolo "Un medico ‘in salute’ è morto due settimane dopo aver ricevuto un vaccino contro il Covid-19": non c'erano prove che il vaccino avesse qualcosa a che fare con la morte, ma la formulazione insinua un nesso e la storia è stata visualizzata da quasi 55 milioni di persone sulla piattaforma. I risultati indicano che questo tipo di notizie fuorvianti ha avuto un impatto 46 volte maggiore rispetto a quelle contrassegnate espressamente come false nel rendere le persone più dubbiose nei confronti della vaccinazione.
La seconda indagine si è invece concentrata sui responsabili della disinformazione su X durante le elezioni presidenziali americane del 2020. I ricercatori hanno scoperto che, in un campione di oltre 660mila votanti, l'80% delle fake news è stato condiviso da poco più di 2mila di essi. Indagando su questi ‘super-condivisori’, è emerso che si tratta per la maggior parte di donne bianche, di mezza età e repubblicane, residenti negli Stati conservatori di Arizona, Florida e Texas. Questi individui, inoltre, provengono spesso da quartieri con basso livello di istruzione ma con reddito relativamente alto. La loro influenza risiede nel fatto che, nonostante costituiscano solo una piccola percentuale degli utenti, sono estremamente connessi e riescono a raggiungere più del 5% degli elettori registrati sul social media.