Il Ceo della società di streaming: ‘Dispute come queste sono inevitabili se vogliamo diventare la piattaforma globale per contenuti audio’
Il Ceo di Spotify Daniel Ek condanna “con forza” Joe Rogan, ma non per questo gli mette il bavaglio: “Dispute come queste sono inevitabili se vogliamo diventare la piattaforma globale per contenuti audio”, ha detto l’amministratore delegato allo staff in subbuglio dopo la nuova polemica che ha coinvolto il mattatore del podcast più ascoltato della piattaforma. Stavolta Rogan è stato accusato dalla cantante India Arie di aver usato decine di volte un termine spregiativo per definire gli afroamericani.
Per quei commenti Spotify è stato boicottato da Neil Young, Joni Mitchell e altri musicisti, mentre all’interno dell’azienda cresceva il malcontento tra voci di un esodo anche tra gli abbonati che hanno fatto crollare in Borsa il titolo della piattaforma. Rogan si è scusato mentre un centinaio di suoi vecchi podcast (quasi un decimo del totale) sparivano misteriosamente da Spotify. Sarebbe stata una decisione del comico dopo aver parlato con Ek su varie questioni tra cui l’uso di linguaggio razzista, ha confermato il Ceo: “Dobbiamo avere linee guida chiare sui contenuti e agire quando vengono valicate”, ha spiegato il Ceo. Su queste linee guida almeno uno degli investitori di Spotify ha chiesto conto e ragione: Thomas DiNapoli, capo del fondo pensione dello Stato di New York, ha scritto a Ek chiedendo in cosa il codice di Spotify si differenzia da quello di altri big del tech e del media per i quali “il tentativo di moderare i contenuti sulla piattaforma ha portato a rischi legali, finanziari e nella reputazione”. DiNapoli ha anche chiesto a Spotify di introdurre un sistema che permetterà agli utenti di denunciare contenuti in violazione di queste regole.
Ma con Ek non si può parlare di censura: “Mentre condanno con forza quel che Joe ha detto e concordo con la decisione di rimuovere passate puntate della podcast, non sono d’accordo con chi chiede di più”, ha scritto il Ceo: “E voglio essere molto chiaro su questo: non credo che metterlo a tacere sia la risposta”. Significherebbe, infatti, a detta del capo di Spotify, mettere la piattaforma “su una china pericolosa”. Ek è un ingegnere che considera Spotify una tech company affine a Facebook o Google: giganti su cui il pubblico consuma contenuti media e notizie più che altrove al mondo, ma che si considerano aggregatori e distributori imparziali che usano algoritmi e non giudizi editoriali, ma a quanto pare aver fatto un contratto in esclusiva con Rogan (il primo, nel 2020, per cento milioni di dollari) e poi con i Duchi di Sussex, Kim Kardashian, Michelle Obama, il marito Barack e Bruce Springsteen ha cambiato le carte in tavola. Per cercare di farsi perdonare da investitori, abbonati e staff, Ek ha annunciato intanto un investimento da cento milioni di dollari per lo sviluppo e il marketing di musica e podcast prodotti da gruppi “storicamente marginalizzati”, ma a detta degli osservatori il problema non è affatto risolto.