Parlando di cucina vegetariana in corpo-mente-spirito con lo chef stellato Pietro Leemann, premiato dalla Fondazione del Centenario Efg
“La chiave di una cucina per il benessere è in fondo molto semplice; cucinare con amore gli ingredienti della stagione e del luogo dove viviamo rispettandoli”. Pietro Leemann, chef stellato dopo esser stato folgorato da una bavarese del cuoco ticinese Angelo Conti Rossini, è uno di quegli interlocutori che non ti stancheresti mai di ascoltare. Gentile, pacato, aperto all’incontro con l’altro, un gentleman anche quando gli annunciamo che faremo la parte ‘dell’avvocato del diavolo’. «Mi sembra giusto» la sua risposta.
In tempi dove la fame nel mondo è un’emergenza, parlare di gastronomia rischia di essere poco... friendly.
Non c’è dubbio che le nostre riflessioni sull’alimentazione sono riflessioni da ‘pancia piena’. D’altra parte la cucina vegetariana è la migliore risposta anche ai problemi che ci sono rispetto alla fame nel mondo. È attestato che con il cibo vegetariano si consumano meno risorse con disponibilità di cibo in più.
Perché non esportare questo regime alimentare, anziché puntare, per esempio, sull’allevamento?
La riflessione è molto più ampia. Pensiamo all’Africa dove il riso, mangiato in abbondanza, non lo si coltiva ma s’importa. Anziché utilizzare i loro cereali comprano riso di bassissima qualità, che non fa bene né alla loro salute né alla loro economia. In Africa poi sono abituati a mangiare carne e dunque ci vorrebbe, prima, tanta educazione. Considerando però l’impatto ambientale siamo soprattutto noi, Paesi ricchi, responsabili del maggior inquinamento della Terra e dei maggiori consumi di materie prime, ad aver necessità di cambiare. La prima ‘regolata’ dobbiamo dunque darcela noi!
In fin dei conti, siamo carnivori dall’Età della pietra. Diventare vegetariani non è rinnegare le origini?
Alle origini l’uomo era soprattutto raccoglitore. Tanto che la tesi dei medici vegetariani è che noi non abbiamo nemmeno un organismo adatto per mangiare tanta carne. Ciò che è sicuro, da un punto di vista alimentare, è che una dieta vegetariana per molti motivi fa bene. Però chi la pratica deve avere anche attenzione perché nella carne ci si procurano le proteine in modo molto più facile. Chi pratica il vegetarianismo da più tempo di noi – gli indiani, i cinesi, i giapponesi – lo fa in realtà per motivazioni legate a una filosofia di vita che considera la cucina vegetariana un’evoluzione dell’essere umano. Noi siamo e diventiamo ciò che mangiamo. Senza contare che dal loro punto di vista, dimostrato, la carne dà aggressività. In India, i guerrieri in tempo di pace mangiavano vegetariano e in guerra la carne, perché serviva loro come ‘carica’.
Essere vegetariano è più un ‘imprinting’ o una decisione?
La scelta alimentare è qualcosa di importante. Mangiamo spesso più per abitudine che per scelta. Per tanti anni anch’io (Leemann è vegetariano, ndr), per educazione o perché mi era stato insegnato così, ho mangiato in un certo modo. E prima di riuscire a cogliere ciò che mi corrispondeva è passato tanto tempo! Io l’ho scoperto viaggiando in Oriente. Sarebbe interessante che ciascuno riflettesse se il piatto che ha davanti gli corrisponde. Sono convinto che per tante persone non è così. Come sono altrettanto sicuro che vi sarebbero più persone vegetariane, tanto che la tendenza oggi è quella generale di mangiare meno carne. È mia opinione peraltro che chi mangia carne dovrebbe avere il coraggio di procacciarsi l’animale che mangia, come fa l’eschimese con la foca o, al limite, il cacciatore con la sua selvaggina. Come peraltro si faceva nel mondo contadino.
I giovani hanno più consapevolezza del significato di ‘mangiare sano’?
Sì, anche grazie a chi li ha educati. Nelle scuole oggi viene dato risalto alla scienza dell’alimentazione. I ragazzi sono molto più sensibili alle questioni ambientali ed etiche. Se un tempo le ideologie erano ‘di partito’ oggi sono marcate più dagli ideali. Per questo nei giovani vi è una crescita dei vegetariani maggiore. Oggi un vegano, con la conoscenza, può alimentarsi in modo corretto. Studi spiegano come sia possibile anche con bambini piccoli.
Il rovescio della medaglia sta nei bambini che non conoscono più la differenza fra salvia e rosmarino...
Come il cibo che mangiamo è una conquista così anche la sua conoscenza. I più piccoli sono meno a contatto con la natura. Sono il tempo e la curiosità a far poi la differenza, ad aprirli alla conoscenza di più alimenti. Oggi la grande opportunità è la biodiversità: per tanti anni l’abbiamo ristretta, oggi la si riallarga. Con la riscoperta di nuove tipologie; penso alle verze o alle patate.
Possiamo dire che la Svizzera ha radici vegetariane?
La Svizzera ha molta tradizione vegetariana. Anche l’Italia, dove però questa cucina era prerogativa di chi non poteva permettersi la carne. A Zurigo abbiamo il primo ristorante vegetariano d’Europa, l’Hiltl, aperto nel 1898. Spesso chi ha portato la cucina vegetariana in Italia sono stati gli svizzeri, ed io ho fatto lo stesso!
Quanto incide secondo lei la moda sulla scelta di diventare vegetariani?
Credo che siamo già in una fase successiva alla moda, spesso legata ad alimentazioni molto ‘strette’ come il crudismo o un certo veganesimo. In questo i vegani sono diminuiti e sono aumentati i vegetariani. È cambiata la riflessione sul cibo che ci trasforma sempre e comunque. E allora ben venga anche se è una moda. Oggi i piatti vegetariani e vegani sono presenti in tutti i supermercati. Come il biologico, che sta crescendo dappertutto in modo esponenziale. La riflessione di ciò che si mangia include anche il come lo si coltiva, e quindi il desiderio di trasformare il luogo in cui viviamo attraverso il cibo che scegliamo di mangiare.
Un tipo di alimentazione, il vegetarianesimo, che rischia di essere precluso per i suoi prezzi ai più?
Eh sì, perché purtroppo c’è il paradosso che ciò che è sano costa tanto e ciò che non è sano costa poco. E poi, chi può scegliere sceglie di mangiare sano, chi non può scegliere comunque non sceglie di mangiare sano perché gli costa meno e non ha neppure la conoscenza per scegliere. È un approccio dalle gambe corte nel senso che investire nell’alimentazione significa investire nella propria salute e in minori costi sociali e ambientali.
Quanti chef oggi non posseggono la chiave di una cucina del benessere?
Penso una buona parte. Spesso a far la differenza è l’aspetto economico più che quello etico-morale. Oggi, spessissimo, molti ristoratori utilizzano piatti già pronti così che un cuoco solo fa tutto. La cucina però ne esce standardizzata.
Oltre al gusto, nel piatto, quanto è importante anche l’occhio?
È importantissimo perché non solo viviamo in un’epoca molto estetica ma perché il cibo, come lo vivo io, è qualcosa di estremamente prezioso. Al Joia vi è un grande studio sull’utilizzo dei colori, delle forme, degli equilibri.
Come giudica le trasmissioni tv dedicate all’enogastronomia?
Per ora è stato molto spettacolo. Nelle case è entrata soprattutto l’alta cucina. Non ha invece portato uno sguardo etico né morale. Ma sta cambiando. Ne è un esempio Netflix che sta puntando su trasmissioni di cultura del cibo.
Il cibo è anche strumento di relazione. A casa cucina ancora lei?
Ogni volta che posso cucino!