Società

La malattia come un libro aperto

L'associazione Triangolo e l'idea di una 'Human Library', cioè libri umani, in carne ed ossa, che ti raccontano la loro storia di malati o di volontari

(Ti-Press)
12 aprile 2018
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«Mi chiamo Irene, ho 41 anni. Sono sempre stata una donna in salute, piena di energia; ho sempre lavorato, sono un’infermiera di sala operatoria. Sono felicemente sposata, ho due bambini piccoli di sei e otto anni. Mi sono ammalata di cancro due anni fa, con un ritorno di tumore a distanza di sei mesi. Non è facile raccontare cosa si prova quando si viene personalmente a conoscenza di questa malattia ma, con l’aiuto della famiglia e delle persone che conosco, ho deciso di lasciarmi guidare in questo percorso, dal dottore e dalla psicologa.

Avendo iniziato subito la chemioterapia, la cosa che più mi terrorizzava era la perdita dei capelli. Avevo paura di perdere la mia identità, di non essere più me stessa. Mi sono lasciata sostenere dalla mia parrucchiera, che mi ha aiutato a scegliere la parrucca e ha accorciato i miei capelli, facendomi un taglio alla moda. Tutto questo per evitare che la mia diversità fosse un trauma. Ho passato un periodo pieno di dubbi, di domande, mi dicevo “Mio Dio, ce la farò? Ce la farò a raccontare tutto questo ai miei figli?”. Sono sempre stata una persona positiva, ho sempre affrontato con forza e con coraggio le difficoltà della vita, ma non riuscivo ad accettare il fatto di perdere i miei figli. E ricordo che all’inizio passai delle notti insonni, a guardarli e ad accarezzarli. Pensavo a come affrontare e sconfiggere questa malattia, e mi avvicinai anche alla fede.


‘Il bello delle donne’

Continuerò ad essere la mamma tenace e combattiva di sempre? Sì, con l’aiuto dei bambini, i bambini ti sanno trasmettere l’amore e le emozioni attraverso le piccole cose. Ricordo che quando tornai con il nuovo taglio di capelli, mia figlia volle subito fare il mio stesso taglio. Tutto questo mi incoraggiò. Un altro episodio che ricorderò con tanta gioia è un giorno in cui stavano disegnando; mia figlia mi guardò e mi disse “ti sto disegnando, ma ti farò con i capelli lunghi perché è così che io continuo a vederti”. Non avvertivo più quel senso di pesantezza, di dovermi nascondere da loro, ma ho sentito una sorta di serenità.

Ho deciso di chiamare il mio libro ‘Il bello delle donne’ perché accosto la mia forza a un salone di bellezza, dove ogni donna per un lasso di tempo si prende cura di sé, nutrendo la propria autostima. Ogni mattina mi sforzo di truccarmi e di vestirmi con dei colori accesi: il bianco rappresenta per me la luce e la purezza, il giallo il sole che mi abbaglia ogni mattina, l’azzurro e il blu mi ricordano il cielo e il mare. Tutto questo nutre e ravviva la mia anima. Essere presa di mira da questa malattia non ha avuto solo sfaccettature negative, ma ha dato anche degli scossoni positivi: riconciliare alcune situazioni giornaliere con mio marito, sistemare le priorità della vita, imparare a dire no, chiedendo aiuto alla mia famiglia e non facendo per forza la wonder woman.

Mi piacerebbe trasmettere a chi ascolta questi miei pensieri un messaggio di speranza e di tenacia. La malattia colpisce solo il malato, ma coinvolge tutta la sua famiglia. A volte è difficile comunicare il proprio stato d’animo, per la paura di creare delle sofferenze, ma è importante riuscire ad abbattere questo muro dell’angoscia. Le cure importanti non sono solo la chemioterapia, la radioterapia, l’intervento, il dottore giusto, la psicologa... Ma sono anche l’affetto delle persone che ci vogliono bene e che ci ricordano ogni giorno quanto sia importante vivere. Non è facile, ma credo che l’ingrediente principale sia il sorriso alla vita».


‘Human Library’


Abbiamo scelto di proporvi così, come ci si è offerto, questo racconto. Infatti, Irene è una donna ed è un libro, con una storia da condividere. La sua e altre storie, di persone malate e di volontari che si prestano ad aiutare chi si trova nel bisogno, potranno essere scoperte sabato 14 aprile al Lac e giovedì 19 al Palazzo della Ses a Locarno (sempre dalle 10 alle 13). Si tratta del progetto ‘Ti racconto la malattia – Libri umani da sfogliare’, che l’associazione Triangolo promuove in collaborazione con la Fondazione Empatia Milano. Da trent’anni in Ticino l’associazione Triangolo si occupa di volontariato e assistenza per i pazienti oncologici, perché un bel giorno negli anni 80 ci si è resi conto di non essere soddisfatti della qualità delle cure nel loro insieme, come spiegato ieri a Bellinzona dal presidente, Fulvio Caccia. In questi anni l’attività si è intensificata – da Lugano a Locarno, da Bellinzona al Mendrisiotto, con il sostegno del Dipartimento della sanità e della socialità – al punto che nel 2016 i volontari del Triangolo nella Svizzera italiana avrebbero percorso nel loro insieme due volte il giro del mondo.


Eppure, come spiegato dalla vicepresidente Anna Pedrazzini, «c’è sempre bisogno di nuovi volontari». Perché scegliere di mettersi a disposizione? «Avvicinarsi a chi è malato non è solo parlare di morte, ma avvicinarsi a una vita, condividerne la storia. I volontari non devono possedere nessuna formazione specifica, ma solo essere disponibili verso il prossimo, avere una predisposizione all’ascolto ed essere scevri da pregiudizi». Secondo il dottor Marco Varini «non bisogna vedere la malattia come un mostro o una anormalità, ma un fatto della quotidianità», di cui parlare senza paura e senza vergogna, senza tentare (invano) di rimuoverla.

Ecco, l’obiettivo di questa ‘Biblioteca vivente’ è proprio quello di avvicinare le persone alla malattia sfuggendo ogni stereotipo. Allo scopo ci sono venti “libri umani”, in carne ed ossa, da prendere “in prestito” come in una biblioteca (ma per un quarto d’ora) e nei quali scoprire un punto di vista personale sulla malattia stessa; persone in cura, che curano oppure volontari che offrono il proprio sostegno, ciascuno con il proprio vissuto e le proprie esperienze. Si tratta, in altre parole, di recuperare una forma di sana empatia. O, come si legge nella presentazione del progetto, di «promuovere il dialogo, ridurre i pregiudizi, rompere gli stereotipi e incoraggiare la comprensione tra persone di diversa età, genere, stili di vita e background culturale».


Sorta nel 2000 in Danimarca, l’idea della Biblioteca vivente nel 2003 è stata riconosciuta dal Consiglio d’Europa come “buona prassi per favorire i processi di inclusione sociale”, ben oltre i confini della malattia. Servono il coraggio di raccontarsi e la disponibilità ad un ascolto incondizionato che, oltre che con l’altro, può aiutare il contatto con sé stessi.