
Volevano fare la rivoluzione e volevano farla in blu jeans. È passato mezzo secolo, ma il mito degli anni 60 resta un inno alla gioventù, ai sogni, anche a un'innocenza perduta ma che non smette di proiettare i suoi bagliori.
Il Victoria and Albert Museum di Londra lo celebra a partire da questo fine settimana con una mostra che - fra memorabilia, musica, filmati, immagini e scampoli di nostalgia - restituisce l'atmosfera, le note e i colori di quel quinquennio, compreso fra il 1966 e il '70, in cui l'illusione di cambiare il mondo parve - e per qualche verso fu - a portata di mano.
Il titolo è insolito, un interrogativo che riecheggia lo shock e lo scetticismo dei padri e dei nonni d'allora: "Dite di volere la rivoluzione?". E la scelta degli organizzatori è stata quella di dividere in capitoli gli aspetti di un colossale cambiamento generazionale, dal costume ai mega eventi musicali, dalla protesta politica fino al consumismo.
Ecco quindi che si parte dalla Swinging London, la Londra degli anni Sessanta scossa dallo 'youthquake', il 'terremoto' dei giovani figli dal baby boom, più fortunati dei loro genitori però pronti a mettere tutto in discussione. Nella 'tempesta perfetta' della rivoluzione si mischiano poi creativamente altri elementi, come la musica, protagonista assoluta di un'epoca che vede l'ascesa dei Beatles, dei Rolling Stones, degli Who, da questa parte dell'Atlantico; e dall'altra, negli Usa, di Bob Dylan, Jefferson Airplane e Creedence Cleerwater Revival, solo per citarne alcuni.
Cruciale per rompere col passato pure la moda, dalle minigonne agli abiti sbarazzini a fiori e naturalmente ai jeans, simbolo onnipresente di quegli anni tanto da far apparire non casuale che il maggiore sponsor dell'evento sia Levi's. A dominare le austere sale del V&A è una colonna sonora intessuta di canzoni, discorsi, slogan, rumori delle piazze. I giovani inseguivano un messaggio di pace e fratellanza che trovava grandi leader e orizzonti positivi accanto agli elementi di violenza e di scontro in cui finì per deflagrare la contestazione su temi chiave quali il no alla guerra o alla segregazione razziale americana.
Le performance 'live' a Woodstock risuonano così nella mostra assieme ai comizi di John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King, alle urla e agli spari nelle marce degli studenti contro il conflitto in Vietnam, fino alle barricate francesi del maggio parigino. All'ombra alle divise americane usate nel 'maledetto Nam' si sente 'Fortunate Son' dei Creedence, che cantano dei ragazzi americani meno privilegiati, non rampolli di senatori, mandati a uccidere e a morire nelle paludi dell'Indocina. Sullo sfondo i grandi 'motti' di quella stagione, primo fra tutti il memorabile controsenso "siate realisti, chiedete l'impossibile": sopravvissuti in seguito sotto forma di mutazione pubblicitaria, come vari altri simboli 'sfregiati' dal tempo.
Proprio il consumismo del resto è una delle eredità forti di un'epoca in cui s'invocava uguaglianza, mentre diventava febbrile in mezzo mondo la corsa all'acquisto di milioni di dischi, abiti, jeans. Un fenomeno testimoniato da decine di cartelloni e prodotti nati in quel quinquennio fatale e destinati in parte a diventare soggetti della pop art.