Scienze

La sfida del contagio mimetico (e il coronavirus non c’entra)

Intervista al filosofo Nidesh Lawtoo, responsabile di un importante progetto di ricerca sulle dinamiche collettive dei comportamenti imitativi

12 aprile 2020
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In un momento storico di incertezza e di potenziale disorientamento come quello che stiamo vivendo, inevitabilmente ci troviamo obbligati a rivedere i nostri piani per il futuro, a riflettere sul nostro mondo e su quello degli altri. E anche quando si tratta di cose semplici e apparentemente banali, che fino a ieri ci sembravano scontate, ci rendiamo conto che dobbiamo muoverci fra una fitta selva di ma, forse, chissà. Fra ombre e speranze, barriere e spiragli, rimaniamo, quasi intontiti, viaggiatori solitari in un’epoca che ha perso i suoi appigli sicuri. Allora diventa importante mantenere calma e lucidità, per non farsi sommergere dallo sconforto, dall’incertezza, e dalla paura soffusa. In certe situazioni, emozioni e stati d’animo possono travolgere intere comunità, nazioni, società, secondo dinamiche e logiche che portano alcuni filosofi, sociologi, e massmediologi a parlare di un vero e proprio contagio emotivo. Ma cosa si intende con contagio emotivo? Lo scopriamo parlando con Nidesh Lawtoo, originario della Mesolcina e professore di filosofia all’Università di Lovanio, dove dirige un progetto di intitolato “Homo mimeticus”, incentrato sulle dinamiche collettive dei comportamenti imitativi.

Dove risiedono, professor Lawtoo, le differenze principali fra il contagio reale e ciò che alcuni studiosi chiamano il contagio emotivo?
Il contagio virale che è di competenza dei medici, virologi ed epidemiologi, ed è da prendere estremamente sul serio. Lavarsi le mani, mantenere le distanze, non toccarsi il viso eccetera sono misure che contrastano il contagio virale. Si parla invece di contagio emotivo in relazione a sentimenti di paura, ansia, addirittura panico. Nelle mie ricerche mi concentro su forme di contagio emozionale e psicologico che io chiamo mimetico. Il fenomeno del contagio mimetico, già noto nell’antichità, nel mondo moderno è stato al centro di importanti riflessioni di sociologi e psicologi di fine Ottocento, come Gabriel Tarde e Gustave Le Bon in Francia. Padri fondatori di una disciplina chiamata psicologia delle folle, essi notarono che quando le persone sono parte di una massa fisica, o di un pubblico virtuale, leggendo notizie sui giornali – e oggi su Twitter o Facebook – le emozioni si trasmettono dal sé all’altro in modo irrazionale, inconscio e, come dicevano già loro, “contagioso”: una metafora che questi studiosi presero in prestito dalla recente scoperta dei microbi, e che applicarono alla psiche collettiva.

Contagio emotivo e imitazione: qual è il nesso?
Da Platone e Aristotele in poi si sa che l’imitazione può essere sia negativa che positiva a dipendenza dei modelli. Attualmente sto lavorando sulle implicazioni politiche del contagio mimetico, un ambito dove sfortunatamente i modelli non sono sempre esemplari. Leader di estrema destra, in modo evidente negli Usa ma pure in Europa e altrove nel mondo, utilizzano volentieri emozioni negative come la paura per manipolare elettori a fini politici. Spesso ci si riferisce a questi fenomeni in termini di populismo, ma un numero crescente di studi dimostrano come le tecniche di contagio emotivo basate su discriminazioni ricordano, indirettamente, il fascismo. Ne parlo in dettaglio in un libro che uscirà in aprile, intitolato ‘(Neo)Fascismo: Contagio, Comunità, Mito’ (Mimesis:2020). Le paure generate da questi leader, spesso dirette contro minoranze o altre nazionalità, sono motivate da fattori ideologici, economici, ipernazionalisti. I messicani di Trump non sono davvero “stupratori”, ma la promessa di un muro può propagarsi facilmente e rassicurare gruppi di sostenitori che in questo modo dimenticano momentaneamente i loro reali problemi. Nel caso di un contagio virale siamo invece di fronte ad un fenomeno di segno opposto. Il contagio è reale, basato su fatti medici, e perdipiù non è arginato da nessun muro. Nel caso del Covid-19, il rischio è stato di sottovalutarlo in partenza, perché riconoscerne il pericolo porta a delle gravi perdite economiche, non a dei guadagni.

Ciononostante, contagio virale e emotivo spesso si sovrappongono, come appunto nel caso del nuovo coronavirus…
In questo senso la risposta di un leader come Trump all’emergenza Covid-19 è stata rivelatoria. Prima ha negato il pericolo con delle menzogne danneggiando la salute pubblica (ha parlato di “vaccini” presto pronti e “miracoli” primaverili). Poi, visto che il contagio virale esiste anche negli Usa, ha utilizzato la crisi pandemica per amplificare tensioni politiche e incolpare paesi rivali (la Cina, l’Europa), inducendo paure mimetiche dirette contro altre nazioni. Esattamente quel che bisogna evitare, visto che siamo tutti vulnerabili al virus. Il virus non fa distinzione di nazionalità. Le due forme di contagio (virale e mimetico), benché diverse, sono intrecciate. Il Covid-19 è un problema non solo medico ma pure politico, economico, sociale.

L’ignoto provoca spesso ansia e paura immotivata: genera anche forme di contagio mimetico?
La paura è un meccanismo di difesa che, a livello evolutivo, ha permesso a Homo sapiens di sopravvivere come specie particolarmente vulnerabile, ma in un mondo globalizzato e iper-connesso è facile che la paura sia amplificata a dismisura dai nuovi media. Per questo la scelta di quali canali di informazione seguire è essenziale. Per non amplificare il panico bisogna ascoltare gli esperti sui media ufficiali, e non seguire tutti i feed su YouTube or Facebook, che sono dei focolai di contagio mimetico. Invece di farsi prendere dal panico bisogna poi attenersi alle regole di base, quelle dettate dai medici e esperti. Se diamo fiducia ai medici e ai virologi quando siamo contagiati, bisogna pure seguire le regole medicali per prevenire il contagio.

Nelle sue ricerche mostra come il contagio emotivo avvenga spesso inconsciamente e a distanza. Siamo tutti vulnerabili al contagio emotivo?
Si, siamo tutti vulnerabili a meccanismi mimetici inconsci, soprattutto in periodi di crisi, incertezza, e cambiamenti molto veloci. In un libro intitolato ‘Il Fantasma dell’io; la massa e l’inconscio mimetico’ (Mimesis 2018) parlo di come “l’inconscio mimetico” si esprime direttamente nelle abitudini, nelle espressioni, e nei gesti quotidiani. Per esempio, sappiamo tutti che per evitare la diffusione del Covid-19 non bisogna più salutare dando la mano. Eppure, essendo un automatismo, e in questo senso inconscio, la tendenza di dare la mano quando qualcuno ce la porge è difficile da resistere. Ciò non significa che non possiamo controllare gli effetti dell’inconscio mimetico. Al contrario, visto che la mimesi è ciò che Platone chiamava un pharmakon (sia veleno che cura) possiamo abituarci mimeticamente a compiere altri gesti salutari. Questo è importante non solo per la nostra salute individuale ma pure per quella degli altri, soprattutto delle persone a rischio. Le nostre scelte quotidiane (non viaggiare, rispettare le distanze eccetera) assumono dunque un valore etico decisivo nel contesto di una crisi pandemica. In un certo senso, il Covid-19 è un’occasione per prendere coscienza che un cambiamento è necessario; per acquisire nuovi automatismi a cui ci abitueremo, tramite un contagio mimetico e inconscio positivo, appunto. Grazie alla mimesi noi umani siamo molto plastici nella nostra capacità di adattamento.

Ma, d’altra parte, possiamo essere facilmente condizionati dai messaggi trasmessi dai media. È possibile che in questo periodo i media stiano amplificando il problema del Covid-19?
C’è effettivamente questo rischio, visto che il Covid-19 tocca direttamente i Paesi occidentali, e quindi il centro del potere politico ed economico mondiale. Bisogna ricordare che i media non sono una finestra trasparente su tutto quel che succede nel mondo, ma piuttosto una lente che mette a fuoco certi fenomeni a scapito di altri. Bisogna essere informati sullo sviluppo della pandemia che si sviluppa ogni giorno, certo, ma prendere le informazioni in modo omeopatico, cioè a piccole dosi, non in modo ossessivo. Se la gravità del Covid-19 non è da sottovalutare, dobbiamo però ricordare che altre parti del mondo combattono simultaneamente contro altre epidemie e catastrofi mortali (Hiv, malaria, malnutrizione) di cui si parla meno ora ma che, purtroppo, non sono sparite.

E quali sono le sue previsioni nel medio-lungo termine?
È sempre difficile prevedere il futuro. Hegel diceva che la storia è come la civetta di Minerva che esce al crepuscolo, cioè si manifesta quando gli eventi del giorno sono passati e la battaglia è finita. Vorrei comunque menzionare un altro pericolo molto sottovalutato che, come il Covid-19, è invisibile, agisce in modo globale, senza che ce ne accorgiamo, e che dovrebbe incitarci a cambiare le nostre abitudini. Se per più di 10’000 anni abbiamo vissuto in un periodo di stabilità climatica che ha permesso la nascita dell’agricoltura e delle civiltà (l’Olocene), da ormai 20 anni gli esperti suggeriscono siamo entrati in una nuova epoca chiamata Antropocene: un’epoca in cui gli umani (anthropos) agiscono come una forza geologica sul pianeta Terra, incidendo direttamente sul cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, lo scioglimento dei poli, l’estinzione delle specie, e altre catastrofi ambientali che si ripercuotono pure sull’uomo. Anche se al momento il Covid-19 è, giustamente, sotto i riflettori, esso non è però l’unico problema da affrontare seriamente. I leader politici di tutto il mondo, ma pure ogni cittadino, dovrebbero prendere atto dei limiti che questa crisi impone, per cominciare a cambiare le proprie abitudini, facendosi promotori di alternative locali volte verso una decrescita progressiva. Non è lusinghiero riconoscerlo, per una specie chiamata Homo sapiens, ma non siamo solo vittime del virus Covid-19. Siamo altresì propagatori di agenti patogeni con cui, senza volerlo, stiamo sterminando altre specie sul pianeta Terra. Trovare urgentemente degli antidoti e diffonderli tramite un contagio mimetico positivo, è la sfida del secolo.

Non ci resta che sperare, dunque, in un’emergenza di consapevolezza collettiva. Non ci sono più scuse: ognuno è chiamato ad agire in modo responsabile.