Le indicazioni di uno studio dell'università di Milano-Bicocca potrebbero portare allo sviluppo di protesi meno invasive
Diciamo spesso che la penna o addirittura lo smartphone sono come dei prolungamenti della nostra mano, e in effetti il cervello li vede proprio così: percepisce ogni strumento che stringiamo tra le mani come se fosse un'estensione del corpo a cui applicare la percezione tattile.
La scoperta, che potrà aiutare lo sviluppo di protesi più precise e meno invasive, è pubblicata sulla rivista Current Biology da un gruppo di ricerca internazionale a cui hanno partecipato anche l'Università di Milano-Bicocca, l'Ircss Istituto Auxologico Italiano e l'Università di Trento.
Lo studio ha coinvolto 16 persone a cui è stato chiesto di stringere tra le mani un bastone che veniva sottoposto a impatti esterni. Tutti i partecipanti sono riusciti a localizzare l'impatto con una precisione quasi perfetta, come se il tocco avvenisse sul braccio. Contemporaneamente i ricercatori, usando l'elettroencefalografia (Eeg), hanno scoperto che la posizione dell'impatto sullo strumento veniva decodificata dalle stesse regioni cerebrali che si attivano quando il contatto avviene direttamente sul corpo, come se il cervello applicasse la percezione tattile del corpo all'oggetto.
«Questi risultati – commenta Nadia Bolognini, docente di Psicobiologia e psicologia fisiologica dell'Università di Milano-Bicocca – suggeriscono che sarà possibile, in un futuro non troppo lontano, progettare neuro-protesi sempre meno invasive e performanti generando in esse segnali tattili che forniscono risposte ottimali nel contatto con gli oggetti. Ciò potrebbe essere realizzato sfruttando il meccanismo identificato nel nostro studio, che permetterà al paziente di localizzare stimoli tattili su una protesi in modo naturale e facilitando così l'uso della protesi come se fosse un vero e proprio organo sensoriale esteso».