“Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione” affermò il genetista russo Theodosius Dobžanskij per sottolineare come la teoria sviluppata da Darwin abbia rivoluzionato le scienze biologiche, portando con sé non solo un nuovo paradigma scientifico ma anche una nuova visione dell’uomo.
Una affermazione, quella di Dobžanskij, che Maurilio Orbecchi riprende nel suo ‘Biologia dell’anima’ (Bollati Boringhieri) estendendola: “Anche in psicologia nulla ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Infatti «è un errore pensare che ci sia una divisione psicologia e biologia» ci spiega l’autore – laureato in medicina, specialista in psicologia clinica e in psicoterapia – che giovedì prossimo, 9 novembre, alle 20.30 nella sala multiuso di Paradiso terrà la conferenza “Da Ippocrate a Freud con il sale di Darwin” organizzata dai Liberi pensatori insieme al Cicap Ticino.
Può spiegare in che senso non c’è differenza tra biologia e psicologia? Pare difficile accettare che la mente, considerata da molti quello che ci distingue dagli altri animali, sia un semplice prodotto della biologia…
La difficoltà che lei cita deriva da diversi fattori. Il primo dei quali è certamente l’inconsapevolezza su come davvero funziona la mente che tendiamo a ricondurre esclusivamente alle attività della corteccia cerebrale che, a grandi linee, elabora informazioni. Ma noi abbiamo anche il tronco encefalico, che si occupa del metabolismo, e il mesencefalo, la parte media che, sempre a grandi linee, svolge le funzioni emotive che troviamo anche negli altri mammiferi: l’attaccamento, la ricerca, il gioco.
Ora, l’uomo non pensa soltanto con la corteccia, ma risente profondamente di queste altri parti, emotive ed emozionali, che derivano dalla nostra storia evolutiva. L’accudimento, la collera, la paura eccetera non sono decisioni razionali, sono emozioni profonde che vengono da parti molto antiche del cervello, condivise con altri animali.
Questa idea è difficile da accettare anche per colpa della religione che ci ha abituati a considerarci “esseri di frattura”, con profonde differenze tra uomo e altri animali. Ma in realtà siamo animali, sia dal punto di vista biologico sia dal punto di vista affettivo.
Non è eccessivamente riduzionista? Il fatto che la nostra psiche sia frutto della biologia e dell’evoluzione comporta che non ci possa essere un discorso psicologico autonomo?
Torniamo a quella divisione tra psicologia e biologia, errore ancora una volta riconducibile alla visione cristiana dell’uomo. L’amore, il desiderio di accudimento, il bisogno di attaccamento e di relazioni con altri esseri umani sono profonde necessità psicologiche che derivano da una spinta biologica. Le due dimensioni sono profondamente legate e non a caso oggi si parla di psicobiologia. Il cervello è biologico, altrimenti torniamo al dualismo cartesiano, alla separazione di corpo e anima che la ricerca scientifica ha dimostrato non avere alcun senso.
Però c’è una differenza tra prendere uno psicofarmaco e instaurare una relazione con un terapeuta…
C’è molta meno differenza di quel che si crede, tra uno psicofarmaco e una relazione con un terapeuta. Perché, alla fine, a che cosa serve la psicoterapia? Serve al cervello per costruire nuove connessioni tra i vari circuiti neurali e per indebolire altre connessioni che formano reti neurali che fanno comportare in maniera male adattiva l’individuo. La psicoterapia è una terapia biologica, perché modifica il cervello, punta a sviluppare in modo diverso certe aree del cervello. Regolare le emozioni significa regolare certe aree del cervello.
Una dimensione biologica che Freud e Jung, le cui teorie sono molto criticate nel libro, ignoravano.
Loro non sapevano come ricondurre certi fenomeni alla biologia. Hanno tentato sulla base di una conoscenza errata della teoria dell’evoluzione – perché già allora c’era la possibilità di conoscerla correttamente – dando delle spiegazioni pseudoevoluzionistiche che loro consideravano scientifiche perché dopo un po’ di incontri con lo psicoterapeuta il paziente stava meglio. Ma il paziente non stava meglio perché gli era stato spiegato che voleva andare a letto con la madre, ma perché si era instaurata una relazione con lo psicoterapeuta.
Il problema di Freud e Jung è quindi la mancanza di basi scientifiche solide?
Non è solo quello il problema. Freud e Jung hanno fondato delle ‘scuole’, una pratica irrituale che li situa al di fuori del mondo scientifico perché gli scienziati non formano delle società private per salvaguardare la loro scoperta. Darwin non ha mai fondato una società di evoluzionisti per rivendicare il diritto di decidere se una persona è evoluzionista oppure no; Einstein non ha mai fondato una società di relativisti affermando che soltanto lui sa che cosa è la teoria della relatività. Quello di Freud e Jung è un sistema, più che scientifico, dal carattere filosofico e religioso.
Ma questa particolarità non può essere dovuta alla natura terapeutica delle loro teorie? Anche le società mediche intervengono sulla bontà dei trattamenti…
Ma agiscono in modo diverso: non esiste che una società medica difenda un modo di vedere le cose che sia al di là da quello che è condiviso dal mondo scientifico. Perché la scienza è caratterizzata da quello che il sociologo Robert Merton ha definito “comunismo scientifico”: una teoria viene proposta agli altri scienziati che la valutano e la fanno propria, la condividono. Un nuovo trattamento, un nuovo farmaco vengono proposti e, se funzionano, vengono utilizzati da tutti.
Contro questa impostazione religiosa e metafisica che cosa si può fare?
Controllare le congetture. Non si può proporre il complesso di Edipo, la sessualità come energia primordiale, la castrazione delle pulsioni, la sublimazione e così via senza poi sottoporre tutto questo a verifica, senza cercare di confutare tutto questo… Confutazione che poi è arrivata dalla biologia e dalle neuroscienze… Bisogna dire che ci sono psicanalisti molto aggiornati che, pur partendo da Freud, sono tra i protagonisti di questo tentativo di fondare una psicoterapia basata su modelli scientifici.