In occasione dei trecento anni dalla nascita, pubblichiamo una serie di interviste sul pensiero di Kant. Iniziando dal suo impegno scientifico
Immanuel Kant nacque il 22 aprile 1724 – esattamente trecento anni fa – a Königsberg, nell’allora Prussia Orientale. E da lì non si mosse: in tutta la sua vita non si allontanò mai più di 40 miglia dalla sua città natale, come viene spesso riportato nei manuali di filosofia forse per alleggerire un po’ l’esposizione.
Non si allontanò mai da Königsberg, ma dialogò con i principali pensatori dell’epoca, diventando un punto di riferimento: nella storia del pensiero europeo c’è un prima e un dopo Kant. Le sue opere – quelle che conosciamo come “le tre critiche (la ‘Critica della ragion pura’ del 1781 con una seconda edizione del 1987, la ‘Critica della ragion pratica’ del 1788 e la ‘Critica del giudizio’ del 1790) ma anche altri scritti meno noti ma altrettanto importanti e influenti – hanno rappresentato un importante momento di sintesi e rielaborazione della riflessione precedente diventando il punto di partenza per quella futura.
Per celebrare questo anniversario, proviamo a seguire le tracce lasciate da Kant, nel pensiero filosofico come in altre discipline. Negli ultimi trecento anni, infatti, diversi temi della riflessione filosofica sono diventati oggetto di indagine scientifica. Ma non solo: «Kant si è occupato di quelli che sono i fondamenti filosofici della scienza naturale, in pratica di filosofia della scienza, ma ha anche affrontato questioni scientifiche vere e proprie ed era molto interessato a quella che noi oggi chiamiamo geofisica» racconta Silvia De Bianchi, professoressa di Logica e Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano e curatrice di ‘La fenice della natura’, raccolta degli scritti scientifici di Kant (Mimesis 2016). «Di fatto è stato Kant a introdurre la geografia fisica nelle università di lingua tedesca, è una materia che ha praticamente inventato lui, insegnando agli studenti di filosofia che cosa è il mondo da un punto di vista fisico, che cosa è la terra, che cos’è l’atmosfera, perché ci sono climi diversi e quali sono gli effetti sull’agricoltura, e quindi sull’economia, delle varie regioni».
Eppure il principale, se non unico, contributo scientifico oggi associato a Kant è la teoria sulla formazione del Sistema solare a partire da una nebulosa dalla quale si sono originati il Sole e i pianeti. Teoria peraltro condivisa con uno ‘scienziato vero’, Pierre Simon Laplace, tanto che si parla generalmente di ‘Modello di Kant-Laplace’.
Sì, solitamente si citano insieme ma c’è una differenza tra i due approcci. Nel suo scritto del 1755, ‘Storia universale della natura e teoria del cielo’, Kant si interrogò sulla natura della Via Lattea, applicando le leggi della fisica newtoniana al di fuori del sistema solare. Nella storia della scienza bisogna essere cauti nell’attribuire primati, nel dire chi è stata la prima persona a sostenere una determinata teoria o a fare una determinata scoperta, ma possiamo certamente dire che Kant sia stato tra i più importanti e influenti pensatori a estendere la teoria newtoniana.
Kant è stato capace di immaginarsi non solamente come sono costituiti il nostro pianeta e il nostro sistema solare, ma anche tutto l'universo, la sua struttura portante. Quindi che il nostro sistema solare è contenuto in un sistema più grande, appunto la Via Lattea, la quale a sua volta è parte di una struttura più grande, che oggi chiamiamo cluster di galassie, eccetera. Una idea gerarchica che è ancora attuale che lui ha sostenuto basandosi sulle leggi della fisica.
Una visione meccanicista.
Sì. Nel testo del 1755 Kant presuppone l’esistenza della materia, saltando quindi il problema della creazione. La differenza tra la sua cosmogonia e una teologia naturale è appunto questa: Kant parte dal fatto che la materia esiste e ne descrive il movimento, l’espansione eccetera, mentre una teologia naturale deve in qualche modo dare conto della creazione della materia.
A ogni modo Kant modifica il suo modello nel corso degli anni, arrivando negli ultimi anni della sua vita a pensare che l’universo fosse permeato di etere. Alla base di questa convinzione vi sono i recenti studi di termologia –all'epoca la termodinamica non esisteva ancora – e le ricerche sull'elettricità e sul magnetismo che prevedono, appunto, l’esistenza di una materia invisibile che permettesse la propagazione di questi segnali.
E l’etere fu una teoria generalmente accettata per tutto l’Ottocento.
Non solo. In quel periodo le teorie sulla luce erano prevalentemente corpuscolari, rifacendosi all’idea di Newton di “particelle luminose”: la comunità scientifica ancora non conosceva i risultati né dell’esperimento di Herschel, che portò alla scoperta dell’infrarosso, né dell’esperimento delle lamelle di Young che, con il fenomeno dell’interferenza, dimostrava che la luce ha la natura di un’onda. Eppure Kant, all’oscuro come tutti di questi esperimenti, già si muoveva in quella direzione sostenendo una visione continuista della luce e della materia.
Era insomma un membro riconosciuto della comunità scientifica.
Kant era aggiornatissimo sulla scienza del suo tempo e leggeva tutti i resoconti di esperimenti. I suoi scritti erano estremamente rigorosi, ovviamente secondo gli standard dell’epoca. Si poneva domande metodologiche, cioè quella che oggi chiameremmo filosofia della scienza, ma al contempo entrava nel merito dei problemi scientifici che affrontava e riportava i risultati di osservazioni ed esperimenti.
Questo è vero soprattutto per l’astronomia, tanto che il direttore dell’Osservatorio di Berlino, Johann Elert Bode, affermò che proprio Kant e William Herschel rappresentavano un felice esempio di convergenza tra teoria e osservazione scientifica.
La comunità degli astronomi dell’epoca stimava molto Kant. Recentemente, nel 2019, ho pubblicato un saggio sulla rivista ‘Studi kantiani’ in cui riporto la scoperta, in un archivio del Texas, di un manoscritto non datato di William Herschel che è un commentario della ‘Critica della ragion pura’: Herschel, sull’onda della popolarità scientifica di Kant, si è quindi messo a leggere la ‘Critica della ragion pura’, allo scopo di acquisire gli strumenti teorici per affrontare i problemi concettuali che riguardavano l'interpretazione di certi esperimenti, tra cui quelli ai quali abbiamo già accennato che condussero alla rilevazione dell'infrarosso.
La sua attività sembra essere prevalentemente speculativa. Era, per usare una terminologia contemporanea, un fisico teorico e non sperimentale.
Si occupava di fondamenti di fisica. Dobbiamo tenere conto che la sua attività principale era la filosofia e che, negli anni Novanta del Settecento, divenne anche rettore e gli incarichi istituzionali ridussero quindi il tempo a disposizione per l’attività scientifica.
Non conduceva esperimenti, ma leggeva i resoconti degli esperimenti condotti da altri, era molto aggiornato e cercava di fare filosofia della scienza, cercava di comprendere il funzionamento della scienza e di fornire i fondamenti metafisici della scienza – Kant è stato un grande critico della metafisica, nel senso che ha voluto purificarla dai dogmi, dai paradossi e si è immerso nella scienza della sua epoca per arrivare a delle categorie per poter leggere, per poter comprendere, a priori, la scienza della sua epoca.
Ma la scienza è andata avanti e oggi la fisica newtoniana è stata superata dalla relatività e dalla meccanica quantistica.
Kant chiaramente aveva in mente la fisica newtoniana – che però non era già più quella dei ‘Principi matematici della filosofia naturale’, l’opera che Newton pubblicò nel 1687, ma quella del matematico Eulero, quella delle sue equazioni dei corpi rigidi che Kant peraltro conosceva.
Questo lo ha capito molto bene il logico Kurt Gödel: in alcuni suoi scritti aveva messo a confronto la filosofia kantiana con la relatività di Einstein e sosteneva che vi fossero dei tratti di continuità. Quello di Kant era un newtonianismo raffinato, la sua filosofia si riferisce chiaramente alla scienza classica ma al contempo ha la pretesa di andare oltre. In Kant troviamo ad esempio la necessità, in fisica, di ammettere un principio di relatività, negando il concetto di moto assoluto. In questo Kant è effettivamente molto vicino al tipo di pensiero che ritroviamo negli scritti di Einstein del 1905, per quanto non si possa certamente affermare che abbia anticipato la relatività ristretta (e ancora meno quella generale).
Come mai il Kant scienziato è oggi perlopiù dimenticato?
La ‘Storia universale della natura e teoria del cielo’, come abbiamo detto, ha avuto una notevole fortuna, dopo il 1790, sia per il suo valore scientifico sia per motivi politici: affiancare il nome di Kant a quello di William Herschel, naturalizzato inglese ma originario di Hannover, significativa ribadire il primato tedesco degli studi astronomici. Ma con le guerre napoleoniche molti osservatori astronomici vennero distrutti e la comunità scientifica che stimava Kant di fatto cessò di esistere o si ritrovò nell’impossibilità di lavorare.
A questo possiamo aggiungere due sviluppi dell’Ottocento. Il primo è la diffusione dell’idealismo: Hegel ha fondamentalmente fatto tabula rasa della filosofia della natura di Kant. C’è l’eccezione di Friedrich Schelling che, dopo la morte di Hegel, tenne dei corsi su questi testi di Kant e tra i suoi studenti troviamo Friedrich Engels che loda ‘Storia universale della natura e teoria del cielo’ perché descrive come è fatto l’universo secondo le leggi deterministiche e quindi lo salva dal “rogo” dei testi borghesi.
Il secondo sviluppo teorico è rappresentato dalle geometrie non euclidee: nella seconda metà dell’Ottocento si è diffusa l’idea che la costruzione a priori della geometria condotta da Kant nella ‘Critica della ragion pura’ sia insostenibile e questo sicuramente ha portato a sottovalutare anche altri lavori “scientifici” di Kant.
Va inoltre tenuto presente che nell’Ottocento la scienza è mutata: è arrivata la termodinamica, l’elettromagnetismo è stata considerata la teoria del tutto, quindi a parte quelli sull’astronomia i testi di Kant non sono stati più attuali. I suoi studi sul clima e sull’atmosfera, ad esempio, non interessavano più perché, con il positivismo, il progresso umano veniva considerato inarrestabile e la sua capacità di modificare la natura totale. Vale però la pena ricordare che oggi, dopo trecento anni, ancora leggiamo i testi kantiani e ne apprezziamo la versatilità, la profondità e la straordinaria capacità di ispirare intere generazioni di giovani filosofe e filosofi. Un’eredità di cui fare tesoro per chiunque voglia “osare conoscere”.