laR+ Locarno Film Festival

Esmé Sciaroni, il trucco ‘geniale’ è invisibile agli occhi

Da Biasca a Parigi, dal cinema d’autore alla serie, la make up designer ticinese (che il Ticino non lo lascerà mai) è nella Giuria ufficiale Opera prima

Premio Cinema Ticino nel 2017. ‘Mi piace Roma, mi piace Parigi, ma resto innamorata del Ticino, gli amici veri sono di qui’
(Ti-Press)
17 agosto 2024
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Belli e sicuri di sé, o belli perché insicuri. Assaliti da struggimento interiore. Magnifici, complicati, eroici, dimessi, guardinghi, bizzosi. Il tutto declinato anche al femminile. Dopo due settimane di Festival le istanze di attori attrici registe e registi cominciano ad accavallarsi ed è bello andare oltre questa piccola, geniale marea egotica che attraversa la città per scoprire altra gente di cinema, fonte di ristoro dell’anima (sempre ammesso che l’anima frequenti luoghi di ristoro e previa definizione del concetto di anima, che nel cinema va per la maggiore da almeno un centinaio d’anni e nella letteratura da molto tempo prima).

Per una volta passeremo dalle parti di Silvio Soldini, Gianni Amelio, Marco Bellocchio, Paolo Virzì e tanti altri dal punto di vista della truccatrice, la make up designer del cinema d’autore italiano da subito e poi quella del successo planetario de ‘L’amica geniale’, serie televisiva tratta dal Libro del Secolo per il New York Times e anche per Jane Campion che a Locarno, giusto un paio di giorni fa, lo ha inserito tra quelli da leggere prima di morire. Devo chiamarla architetto? «No, non è necessario». Esmé Sciaroni, che comunque è anche architetto uscita dall’Accademia di Architettura di Mendrisio nel 2003, è quella che si dice un’eccellenza ticinese. Ma ticinese ticinese, perché sebbene il suo lavoro la porti in Italia per la maggior parte del tempo, la nativa di Biasca non si separa da Minusio, dove vive, nemmeno ora che l’Academy (è accaduto tre anni fa) l’ha voluta nella ristretta cerchia di professionisti del trucco che selezionano i premi per i film dell’anno, quelli ai quali dare l’Oscar. “Academy invites to membership” recitava il banner rilanciato in quei giorni da Pierfrancesco Favino, fresco d’invito insieme al compositore Andrea Guerra, alle registe Cristina Comencini, Maria Sole Tognazzi e Francesca Archibugi. In tutto ventuno compresa Esmé, unica truccatrice, accolta via e-mail da ‘A Warm Welcome’, un caldo benvenuto e un “non vediamo l’ora di complimentarci di persona”. “Because your work shines on the screen”, le avrebbero detto poi da Hollywood, motivando l’invito. «No, non ho mai pensato di andarmene per sempre, ho tenuto la mia residenza qui. Mi piace Roma, mi piace Parigi, ma resto innamorata del Ticino, gli amici veri sono di qui». Qui a Locarno, nel festival che la vede nella Giuria ufficiale Opera prima e in quella del MUBI Award – Debut Feature.

Parto dalla protesta dei costumisti agli ultimi David, ma anche dalle categorie tecniche che sul palco degli Oscar non salgono. Come se la passano i truccatori?

Credo che in Italia vi fosse l’intenzione di fare qualcosa di bello ma non ci sono riusciti, quel luogo pareva un sottoscala di Cinecittà. Ed è vero che le nostre categorie sono sempre un po’ bistrattate. Ai David, la categoria del trucco è stata istituita nel 2008, in quell’anno c’ero anche io con ‘Giorni e nuvole’ di Silvio Soldini. È comprensibile che i costumisti si siano arrabbiati, è parso di essere tornati indietro di anni. Ma il problema più grande per tutti è ora la nuova legge varata dal Governo italiano sul tax credit.

Agli Oscar per i truccatori è diverso? E a questo proposito: come si entra all’Academy?

Sì, agli Oscar la categoria esiste da anni. È successo che nel 2020 ho ricevuto una e-mail con l’invito. Mi sono detta: “È uno scherzo”. Di norma l’Academy accetta chi in passato sia entrato almeno in una delle cinquine. Onorata ho accettato l’invito e mi sono chiesta come mai, io che sono una outsider, che non vengo da famiglie italiane di cinema. Arrivo al cinema come svizzera, per cui un po’ straniera, e ho subito iniziato con il film d’autore, Soldini, Amelio, e ho continuato in questa direzione con un detour che è stata la serie de ‘L’amica geniale’. Forse è stata quella, il successo negli Stati Uniti, ad avere influito.

Come si diventa make up designer del cinema? Non dev’essere una cosa tipo “ho sempre sognato di fare l’attrice, da bambina facevo spettacoli per la famiglia”…

A 19 anni sono partita per Parigi per frequentare una vera scuola di trucco di cinema, teatro e televisione, in Italia c’erano solo dei corsi a Milano. Nessuno della mia famiglia sapeva di che tipo di lavoro si trattasse. Già da adolescente seguivo il Locarno Film Festival. Durante quella scuola mi è capitato di fare un cortometraggio e mi è piaciuta la situazione. Nel 1986 ho fatto il primo film con Silvio Soldini. È il cinema ad avermi spinto in questo settore, nel cinema potrei fare qualsiasi cosa, anche solo portare i caffè (ride, ndr). C’è chi s’innamora del trucco nel senso fisico, del prodotto, e a me questo o quel rossetto interessano solo in ottica di fare un buon lavoro, ma sempre al servizio del film. Paradossalmente, quando mi dicono “quel trucco era bellissimo” la cosa mi tocca ancora meno, perché già il fatto che qualcuno si sia accorto del trucco sottintende un errore. A mio parere il trucco non si dovrebbe vedere, e se si vede è solo perché lo si è deciso con il regista e perché lo prevede la sceneggiatura. Ci sono ancora tanti fraintendimenti: quando dici trucco pensi sempre solo all’imbellettamento, ma non è così, nel make up cinematografico si lavora a togliere o a cambiare, e peggiorare l’aspetto fisico.

Come si affrontano tecnicamente i cambi d’epoca nei film?

Ci si muove con tanta documentazione e io amo documentarmi con le fotografie dell’epoca, come nel caso de ‘L’amica geniale’, che è appunto un film in costume. Ma il trucco non è solo quello specifico di quegli anni, mostrato sulle riviste di moda, facile da riprodurre, ma è un’elaborazione di quello e di un trucco più vicino alla realtà del periodo storico, il trucco di gente comune che non stava sui rotocalchi, un’elaborazione di tutte queste informazioni.

Quando inizia il suo lavoro, rispetto alle riprese?

Dipende dai registi. A volte può iniziare anche anni prima di girare il film. Con Silvio Soldini lavoro da 39 anni, la nostra collaborazione continua. Ho lavorato per lui e con lui in tutti i suoi film. L’ultimo è un progetto nato due anni fa che abbiamo appena finito di girare, s’intitola ‘Le assaggiatrici’, è tratto dal libro di Rosella Postorino. È la storia delle assaggiatrici di Hitler, che mangiavano il cibo destinato al Führer.

Presumo che il rapporto con attori e attrici implichi doti umane particolari…

Empatia, pazienza, tanta psicologia. Le troupe generalmente vanno dalle 60 alle 80 persone e con una trentina di esse s’instaurano legami tosti. Sai che quel lavoro durerà alcuni mesi, che finirà e la cosa da fare è stare insieme nel migliore dei modi e far sì che ognuno abbia la possibilità di esprimersi. Io non impongo mai un trucco, un’immagine che sia quella soltanto. Come dicevo ad Alma Pöysti, l’attrice di Aki Kaurismäki, qui in giuria con me, io lavoro non per me ma per e insieme all’attore o l’attrice che una volta usciti dalla sala trucco si sentono nel personaggio.

E l’architettura? Come entra nella sua vita?

Tra il 1993 e il 1994 ho fatto ‘Lamerica’ di Gianni Amelio, lavoro con lui sin dai tempi del ‘Ladro di bambini’, una coproduzione svizzera. Una volta tornata da quel film una legge protezionista dell’allora Ministero del Turismo e dello Spettacolo italiano imponeva restrizioni agli stranieri. Ho cercato in tutti i modi di sbloccare la situazione ma non c’è stato modo; nel mentre, a Mendrisio si apriva l’Accademia di Architettura e per vicende personali già frequentavo quel mondo. La situazione era ferma, ho deciso di iscrivermi: ho finito i sei anni e lo rifarei subito. L’architettura mi è servita, oltre che per il bagaglio culturale, in chiave di organizzazione. Con ‘L’amica geniale’, in particolare, si è trattato di gestire più lavorazioni insieme: si lavorava per girare lo stesso giorno, si vedevano comparse che avrebbero girato mesi dopo e per la scena imminente che prevedeva un altro trucco. E poi i cambiamenti dall’adolescenza all’età adulta e altre piccole cose, che non vedi ma che senti.

Per finire: una truccatrice in giuria si può considerare un evento raro?

Mi fa molto piacere che Giona A. Nazzaro mi abbia conferito questo incarico, è come tornare agli anni Ottanta, Locarno è sempre stato il festival delle opere prime e seconde. Non mi risulta che altri grandi festival internazionali abbiano invitato i truccatori a far da giurati, si crede sempre che la nostra sia una categoria concentrata solo sul proprio lavoro.

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