Un film di anafore, citazioni e lettere immaginarie tra Pessoa e Lovecraft. ‘Cartas Telepáticas’, di Edgar Pêra, si affida all’IA per raccontare un’utopia
Oltre ai prodotti audiovisivi di qualità, il festival consiste anche da vetrina per le novità di tutti i tipi, dalle idee delle nuove generazioni alle innovazioni tecniche. Il progressivo inserimento dell’intelligenza artificiale in molti settori, tra cui il cinema, è già oggetto di discussione, generando aspettative per il futuro ma anche forti timori per il ruolo decrescente dell’uomo nella sua stessa società.
‘Cartas Telepáticas’ di Edgar Pêra cerca di sfruttare il potenziale di questa tecnologia per creare un legame mentale tra due dei più grandi autori di sempre, H.P. Lovecraft e Fernando Pessoa; un viaggio psichedelico e ossessivo all’interno di un mondo distopico composto da mostri crostacei, volti strabici terrorizzati, stanze degli specchi e cappelli fluttuanti. Un film grottesco, costruito sulla voce fuori campo e la colonna sonora distorta, ovattata e disturbante, che detta il ritmo in maniera esasperata e ansiogena, ricordando una versione esacerbata di ‘Delicatessen’. La narrazione crolla lasciando spazio a un approccio certo più libero, ma anche più confuso e macchinoso da seguire, risultando a tratti pretenzioso nell’esposizione, quindi kitsch nella resa visiva: i visi e i corpi sfarfallano, i movimenti vanno a scatti e la velocità del susseguirsi delle inquadrature non aiuta a cogliere i dettagli di immagini anche interessanti, soprattutto quelle raffiguranti l’immaginario lovecraftiano del ciclo di Cthulhu.
C’è dunque ancora ampio spazio di miglioramento, anche se è già evidente che alcune riprese funzionino meglio di altre, come ad esempio i paesaggi, le fotografie, gli elementi fantasy e quelli fantascientifici, tuttavia i limiti dei movimenti, di macchina e dei personaggi, non sono ancora trascurabili, come peraltro già aveva mostrato ‘Fairytale’ di Sokurov due anni fa, animato in parallasse. Un collage che appartiene alla videoarte, adatto probabilmente a un esposizione o a una performance, piuttosto che a una sala cinematografica, perché violento nel suo arrivare a noi spettatori inermi, sotto al controllo di un montaggio lampeggiante.