(quella del Sasso) In Piazza per l'uscita di scena del presidente, poi al chiostro della Magistrale per la festa di chiusura, a maledire il Dj
“Da lui non me l’aspettavo”. L’ultimo giorno di Festival di Pinello è come un leopardo con una macchia fuori posto. L’uscita di scena di Marco Solari lo ha colto di sorpresa: “Ma un uomo della sua eleganza, un liberale d’altri tempi, bello e ispirato, un fine cultore della parola, di una cultura che sa tradursi in visioni politiche, economiche, strategiche, un umanista che ha risollevato il Festival valorizzando il lavoro, le idee, la passione, la fiducia nell’ingegno umano, un signore da cenacoli colti nei giardini di Figino; ecco, un ticinese così, che sa pure parlare in italiano, può chiudere una presidenza luminosa invocando la Madonna? Peraltro in una sua declinazione regionalistica?”. Forse proprio perché parla italiano, ho azzardato. Pinello ha preso le mie parole come una provocazione. Ci ho riprovato: forse ha lanciato un ultimo monito, affinché chi ha il potere di farlo si prenda cura del Festival. “Quindi parla alla Madonna in modo che lo comprendano pure i leghisti? Troppo indiretto anche per lui”, ha troncato Pinello. Poi si è sbellicato dalle risate, ma non ho capito perché.
Poche ore prima la premiazione gli aveva regalato un attimo di piena miracolosa contagiosa disperazione cosmica. Insomma, la giuria ha fatto ciò in cui lui sperava: “In un Concorso pieno di cagate pazzesche, premiare gli unici film necessari, dettati da uno sguardo straniante quanto incisivo: l’Iran integralista come il capitalismo rumeno, che ti colpisce in testa con arrugginite sbarre di ferro per delimitare il traffico piazzate chissà quando dai comunisti. Quando si dice, una metafora felice”. Ma secondo Pinello questi premi rappresentano il “canto del cigno” di un linguaggio morente: “La cultura è di per sé un fenomeno di nicchia, un dialogo fra panda tenuti in vita artificialmente malgrado la loro volontà d’estinzione.
Il cinema è altrettanto marginale, soprattutto se si permette il lusso di non dare una botta d’adrenalina ogni due minuti, ma si prende il tempo di raccontare e di mostrare. Ma il tipo umano che stiamo allevando sa forse guardare o ascoltare? Un’altra generazione e non saprà neanche parlare, troppo noioso: lo lascerà fare a qualche IA. Poco male, se si tratta di dire stronzate…”. Ho replicato che proprio favorendo la creazione di opere originali si potrà difendere un’idea nobile di dialogo, di arte, di umanità. Pinello mi ha rivolto uno sguardo caritatevole: “Ok, ti porto a bere”.
Ormai a notte fonda, nel chiostro della Magistrale, Pinello ha contemplato con occhio disincantato la festa di chiusura: “Ecco, quando dici coerenza: se in Concorso vai di Rossosperanza, il dj arriva con la disco-trap di m”. E si è lanciato nella mischia a ballare.