Il pardo all'Iran, meritato, è al coraggio; quella di Radu Jude è una lezione di cinema; ‘Stepne’ è un film necessario
Tutto come previsto. La Giuria presieduta da Lambert Wilson, e i relativi membri Zar Amir Ebrahimi, Lesli Klainberg, Charlotte Wells
Matthijs, Wouter Knol, ha deciso di non dimenticare il mondo in cui viviamo, ha preferito, nei tre premi principali, uno sguardo attento a quello che ci opprime: la guerra in Ucraina, i misteri dell'Iran, la globalizzazione che sconvolge i ritmi quotidiani di chiunque vive le grandi città di oggi. Certo, c'era altro da guardare in questi diciassette film che il Direttore artistico, Giona A. Nazzaro, ha sottoposto alla Giuria, ma ogni giuria fa le sue scelte. Dispiace solo di non vedere tra i premiati ‘Essential Truths of the Lake’ di Lav Diaz e il sorprendente esordio italiano del giovane Simone Bozzelli con il suo ‘Patagonia’, la cui crudezza forse ha fatto paura alla Giuria.
Ma veniamo ai premi, tutti meritati. Il Pardo d'Oro a ‘Mantagheye bohrani’ (Critical Zone) di Ali Ahmadzadeh premia il coraggio di un regista oggi ancora trattenuto in Iran da un divieto tedesco a farlo giungere in Europa. Il suo è un road movie frizzante, un racconto di vita e voglia di lottare, con una delle scene che diventano memoria di questo Festival, quella di una protagonista che spunta dal tettuccio dell'auto con cui stanno fuggendo dalla polizia, urlando disperazione e gioia, urlando il desiderio di essere viva. Un grido che fa tremare i grigi Āyatollāh, retaggio di un medioevo che ancora sembra non essere finito in tanta parte di questo mondo.
Il Premio Speciale della Giuria a ‘Nu aștepta prea mult de la sfârșitul lumii’ (Do Not Expect Too Much From the End of the World) di Radu Jude era voluto all'unanimità da parte degli addetti ai lavori. Il film del cineasta rumeno è un monumento al linguaggio cinematografico, una riflessione sull'uso del mezzo Cinema. In un momento in cui tutti i telefonini fanno film, in cui YouTube, Tik Tok e Instagram e altro ancora si riempiono d'immagini in movimento, il richiamo a una grammatica del linguaggio è un richiamo
all'ordine: il Cinema non è per tutti! Radu Jude spiega che l'illusione di un'arte alla portata di tutti è naufragata. Grande lezione.
Scontata la Miglior Regia, alla brava Marina Vroda per il suo necessario ‘Stepne’, il film ucraino, infatti, è veramente un invito alla Pace, una riflessione sul nostro avere bisogno di memoria, unica possibilità per incominciare la nostra ricostruzione umana. Il suo è un film commovente e necessario. La Giuria, poi, ha diviso in due, in un ex aequo inaspettato, il premio per la miglior interpretazione femminile a Dimitra Vlagopoulou per ‘Animal’ di Sofia Exarchou e a Renée Soutendijk per ‘Sweet Dreams’ di Ena Sendijarevic, entrambe ritratto di due donne che disperatamente lottano per essere vive e che dell'eccesso fanno il loro profumo. Indimenticabili.
Una Menzione speciale è andata a ‘Nuit obscure – Au revoir ici, n'importe où’ di Sylvain George, un lungo film sul quotidiano dramma di chi vuol migrare, di chi ha un sogno e cerca la possibilità di realizzarlo, scontrandosi con un mondo che erige muri e tira filo spinato per non essere invaso. Strana battaglia dove i punti di vista non si incontrano e ognuno gioca il suo gioco e troppi muoiono per sognare. E tutti tacciono sugli immensi campi di concentramento sparsi nel mondo per chiudere i migranti, gente senza bandiera, eserciti allo sbando, memorie che si perdono. Non sorprende neppure il Pardo d'Oro Cineasti del presente a ‘Hao jiu bu jian’ (Dreaming and Dying) di Nelson Yeo, un regista di Singapore, una cinematografia nuova che comincia a farsi strada nei Festival. E Locarno non serve a questo? A Scoprire nuovo cinema?