È il film di Dominic Sangma, in cui un villaggio pacifico diventa terrificante. Una vera e propria perla
‘Rimdogittanga’ (Rapture) è un titolo che significa rapimento ma in senso ampio, riferito anche al rapimento della Chiesa, auspicato nell’Apocalisse di Giovanni e caratterizzato dall’ascesa degli eletti verso Dio. Un termine che crea una contraddizione palese e che viene qui sfruttato all’estremo, nel migliore dei modi; la critica al Cristianesimo diventa una critica alla teologia stessa e rivela con forza l’impostazione di una congregazione, nei suoi lati più bui e oscuri.
Simile al discorso fatto da ‘El rezador’ (sezione Open Doors), forse con maggiore profondità e apertura anche all’esplorazione di altri temi, anche qui il linciaggio da parte della folla di fedeli è mosso da un sentimento totalmente anti-cristiano e quindi rigettante i valori del perdono e della misericordia. Entrambi i film sembrano comunque volerci dire non per forza che la religione sia sbagliata ma piuttosto che l’uomo, nella sua imperfezione naturale, non può adempiere a quei dogmi, essendo ancora prevalentemente soggiogato dai propri impulsi di violenza, vendetta e morte.
Questa variegata produzione tra India, Qatar, Cina, Olanda e anche un po’ di Svizzera ci catapulta in un mondo esotico, che non è un idillo, riuscendo ad avvicinare molto lo spettatore al luogo, cosa tutt’altro evidente essendo questo l’India, culturalmente molto differente e lontana dall’Europa. Complice anche il fatto che i cattolici non ci sembrano mai troppo diversi e lontani, il film riesce in un qualche modo a modernizzare certi aspetti dibattuti della religione, quindi a ribaltarli e metterli sullo stesso piano, un piano piuttosto basso, del folklore. Sciamanesimo pagano e monoteismo sono quindi facce della stessa medaglia e che vorrebbero essere mostrate per quello che sono, cioè tradizioni che contengono un misticismo, qui tradotto in ignoranza e ipocrisia.
Durante una raccolta notturna di locuste, da parte degli abitanti di questo remoto villaggio indiano, il giovane Mangkunchi si perde nella foresta. Questi è il primo a sparire e coincide con l’atteso arrivo di una statua di Maria e con le predicazioni del Pastore, secondo il quale l’apocalisse di oscurità sarebbe imminente. Oltre a ciò, nei villaggi limitrofi c’è stata segnalazione di stranieri rapitori, non meglio specificati, instaurando così negli abitanti il terrore. Kasan Pa, fratello dello scomparso, è un membro importante della ronda notturna atta a prevenire i rapimenti e cresce suo figlio Kasan, sfregiato e affetto da cecità notturna, con la moglie e il padre anziano Sobel. L’aggravarsi della questione e il mancato ritrovamento, almeno iniziale, di Mangkunchi, costituiscono una spirale discendente che coalizza gli abitanti insieme, ma portandoli a prendere delle decisioni da isteria collettiva, alimentata dai falsi messaggi divini predicati dal Pastore, l’ennesimo sfruttatore della religione a scopo di lucro. La comunità del villaggio verrà dunque scossa, mettendo tutti gli uni contro gli altri e rendendo ostile quel luogo di pace, non più adatto a crescere Kasan.
‘Rimdogittanga’ è un film dotato di un uso dello spazio sapiente, che rivela progressivamente e che dona alle inquadrature una forza tale da trascendere i limiti della cornice. La macchina da presa si muove con precisione e delicatezza, perfettamente al servizio del film, mentre ci rivela cose e persone inizialmente celate o che entrano direttamente dallo spazio dal fuoricampo, come finestre su un mondo in movimento. Tecnicamente impeccabile, questo film crea un cerchio, che chiude senza sbavature e al cui interno vi è una stratificazione di cose; la critica religiosa, alla tradizione arcaica e anche alle forze dell’ordine vuole sottolineare una sorta di ineluttabilità delle cose, che possono cambiare secondo un volere non umano e specchiato nel concetto di fato. Un’antiparabola profonda della vita, dove non vi è un vero senso di giustizia finale, con un punto di vista onnipotente che circonda e sorvola a piacimento, come se fosse uno sguardo divino, forse anche un po’ crudele.