Niente di fantozziano: molte parole e tanto affetto alla Magistrale per i partenti Solari e Berset, e per il Festival del cambiamento, iniziato ieri
I saluti a tutte le cariche dell’Orchestra della Svizzera italiana, più brevemente detta Osi, e l’applauso n.1 è chiamato con abile uso delle pause. “Siamo stati vittime di due cose: la prima è un’app elettronica che non ha funzionato come si deve (applauso n.2, liberatorio, ne scriviamo in basso a sinistra, ndr) e la seconda è questa presenza impressionante” (sempre in basso a sinistra, ndr). “Ricordo che su idea di Marco Netzer, provammo questa combinazione (musicare un film, ndr) e ci ritrovammo con alcune persone in sala. A dir la verità, molto poche. Marco e io ci guardammo e ci dicemmo che avremmo dovuto continuare. Per me, oggi, è un’emozione grandissima” (applauso n.3, spontaneo).
Quanto sopra, dopo quella di martedì scorso in Rotonda, era altra ufficialità di Marco Solari, questa volta al Fevi e nel giorno d’inizio del suo Festival, suo ancora per poco ma inaugurato, come di consueto, di pomeriggio con un film muto, ‘The Lodger’ di Alfred Hitchcock (sì, sempre in basso a sinistra). La colonna sonora era affidata all’Osi, rappresentata in sala da Barbara Widmer: “La sala quasi piena al Fevi è un successo incredibile”, dice la direttrice artistica non più ad interim, “è un onore poter aprire il Festival con il cineconcerto. Siamo felici di essere venuti fino a Locarno per questo progetto molto importante”. L’assist al presidente uscente, al quale in 23 anni la battuta pronta non è mai mancata, è posto su di un vassoio d’argento: “Avete dovuto valicare il Ceneri!”, dice il Solarissimo, e si conquista l’applauso n.4 (con risata), della consistenza tipica della commedia all’italiana (ma quella ticinese si difende bene). È l’applauso di quello che, visto dal palco, pare “un tunnel di persone che si estende all’infinito, il miglior regalo che potevamo ricevere, il motivo per cui lavoriamo tutto l’anno. Vedervi qui fa davvero bene al cuore”, applauso n.5 che è tutto per Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival ed entertainer poliglotta, che ha detto l’ultima. Ma Hitchcock non è stato il solo capolavoro della giornata.
LFF
Al Fevi. A sinistra, Barbara Widmer. A destra, Marco Solari
Ore 18, chiostro della Magistrale. Al momento non è dato sapere chi scriva i discorsi ad Alain Berset, o se li scriva lui di suo pugno, ma la politica ticinese potrebbe fare un’offerta al suo portavoce e regalarci graziosi coup de théâtre come quello di ieri. “La più grande rivoluzione del cinema è stata senza dubbio il passaggio dal muto al parlato, e io sto per passare dal parlato al muto” (risata n.2, applauso n.6). Del suo addio, il presidente della Confederazione e capo del Dipartimento federale dell’interno dice che “non inciderà sul futuro del cinema” (risata n.3, abbozzata) e che ci alleggerirà: “Sono anni che sopportate i miei discorsi a Locarno, un po’ sempre gli stessi ritornelli, gli stessi cliché: il leopardo, il sole, le palme, il Lago Maggiore, lo schermo di 25 metri per 14, la più grande sala cinematografica naturale, eccetera eccetera”. Berset fornisce dati precisi sui propri interventi: “Al Festival di Locarno ho pronunciato una buona decina di discorsi d’apertura, di una durata media di alcuni minuti, per un totale che corrisponde circa a un film di Woody Allen, i cui lavori non superano quasi mai l’ora e mezza di durata” (risata n.4, prolungata).
Giunto a questo punto, uno stand-up comedian che facesse bene il proprio mestiere saprebbe di avere il pubblico in pugno, e di poter affondare. E infatti: “Per tutto il prossimo anno – riprende Berset – mi specializzerò nei discorsi di chiusura. Per non farvi subire un discorso di apertura di troppo, ho deciso quest’anno di pronunciare un discorso di chiusura”. Che inizia così: “Signore e signori, il Festival di Locarno artisticamente presieduto da Giona A. Nazzaro è stato eccezionale. Abbiamo visto film incredibili, di tutti i continenti, di tutte le culture, abbiamo applaudito una moltitudine di star che hanno tutte promesso di tornare”, e via con l’uscita dal Covid, con i budget alla Cultura, che lo hanno visto impegnato in prima linea, e poi l’incubo Netflix, le lodi ai film svizzeri, ai festival svizzeri. Pare retorica ma non lo è, perché il gioco tensione-rilascio da consumato attore, o da consumato musicista – chiunque sia l’autore del suo testo – oscilla tra la boutade e il serio, per finire con la prima: portarsi via un paio di sedie dalle migliaia della piazza per metterle alla Cinématheque Suisse, così da ospitare Marco Solari e fargli vedere, finalmente, in tranquillità, qualche film. “Qualche commedia italiana, qualche classico svizzero, di ieri ma soprattutto di oggi”.
Per superare in decibel l’applauso finale ci vorrà il miglior Marco Solari, che per riassumere i suoi 23 anni di presidenza rispolvera alcuni cavalli di battaglia recenti – “cambio di paradigma”, usato in sede di presentazione di Maja Hoffann, “libertà”, quella del Festival “più libero al mondo, com’è il carattere della Svizzera italiana e del resto della Confederazione” – e una nuova, “parrhesia, ovvero il coraggio, non solo il diritto, di dire sempre, indipendentemente dalle conseguenze, la verità. E così come nel teatro di Aristofane poteva essere detto, in questo Festival, Giona deve poter dire, oggi e sempre, la verità. E voi tutti, signore e signori, sarete giudici di questo. Grazie” (applauso n.7, ma solo per questa pagina).
Chi ha vinto ieri? Per l’originalità, forse Berset. Ma, per il solo fatto di andare sempre a braccio, Solari vince a mani basse il Premio della Critica (ipotetico. Meglio non parlargli di Sanremo…).
Keystone
Mercoledì 2 agosto, chiostro della Magistrale. Da sinistra: Giona A. Nazzaro, Marina Carobbio Guscetti, Alain Berset, Alain Scherrer e Marco Solari