Il film di Lenoir, in Piazza oggi, racconta le battaglie delle donne per il diritto all’aborto: una storia che invita alla rivolta cosciente e civile
Ci sono film che sanno raccontare il tempo in cui vivono per denunciare quello che non funziona, per proporre cambiamenti, per dare futuri. Pensiamo all’importanza del neorealismo italiano, pensiamo al lungo lavoro di Ken Loach e di Carlo Lizzani, ai fratelli Dardenne, una cinematografia civile e morale, attenta al popolo più che al potere, attenta ai deboli più che ai forti, ispirata da un’idea di cambiamento da fare, un cinema capace di rivoltasi per difendere chi ne ha bisogno.
Ed ecco che questa sera in Piazza Grande lo abbiamo trovato quel cinema con ‘Annie Colère’, film di Blandine Lenoir (brava anche come attrice, la ricordiamo in quell’esordio fulminante di Gaspar Noé ‘Seul contre tous’, premiato a Cannes 1998). Qui lascia la recita alle altre, e che altre! Laure Calamy è la Annie del titolo, premiata l’anno scorso con un César per ‘Antoinette dans les Cévennes’ e a Venezia come miglior attrice per la sezione Orizzonti con ‘À plein temps’ (2021). La vedi sullo schermo e comprendi subito che grande attrice è; a farle da spalla un’impagabile India Hair.
Il film ci riporta in un anno cruciale per le donne francesi, il 1974, in cui per la prima volta la Francia si dota di una legge sull’aborto, chiaramente blanda e insufficiente, ma almeno è il riconoscimento di un tema fino allora ignorato. La regista ci fa vedere l’importanza dell’azione politica e sociale di un importante gruppo interessato al tema, il Mouvement pour la liberté de l’avortement et de la contraception, meglio conosciuto come Mlac. Come ben spiega Lenoir: «Ho voluto realizzare Annie Colère per mostrare le "immagini mancanti", quelle della storia delle donne, della loro lotta per la libertà, della sorellanza, della tenerezza nella lotta».
Ed ecco Annie – operaia e madre di due bambini, moglie fedele – rimasta incinta ancora una volta, accidentalmente. Non vuole e non può tenere un nuovo figlio, la famiglia non si può allargare e lei sceglie di abortire e invece di una praticona – alla Isabelle Huppert di "Une affaire de femmes" per intenderci – incontra quelle del Mlac, che certamente praticano aborti illegali, ma alla luce del giorno e, soprattutto, mettendo la donna che vuole abortire in condizioni di capire quello che fa, dandole una educazione sessuale, la cui assenza resta il problema principale tra le cause dell’interruzione di gravidanza.
Annie resta colpita e coinvolta da quel mondo di donne finalmente libere e capaci di voler bene al proprio corpo e si impegna diventando una di loro. Questo la porta a conoscere la varietà delle donne che cercano di abortire, ed è l’età a differenziarle, la cultura, il bisogno, ma l’ombra maggiore che le accomuna è l’uomo che hanno vicino, quello che scopa perché si sente padrone di quell’oggetto che è per lui la donna. E sono proprio gli uomini che, appoggiando il Movimento, scoprono come deve cambiare la loro prospettiva: eloquentemente lo racconta la magnifica scena in cui un giovane medico – che ha accettato di fare gli interventi – sembra non capire perché le donne del gruppo insistono affinché siano loro stesse a praticare gli aborti. Allora, a dimostrazione, il gruppo gli dice di togliersi i pantaloni e di accomodarsi sulla sedia del ginecologo, con le gambe alte: lui comprende provando vergogna; la stessa che prova una donna nel farsi visitare da un uomo. Annie arriva al punto di rinunciare a una festa di matrimonio per assistere una donna in difficoltà. Il marito sembra non capire, d’altra parte è un uomo anche lui.
Un film su un cammino di formazione al conoscere sé stessi, i propri diritti, il senso di essere donna che, se rispettata e compresa, forse non ha bisogno di abortire. È il mondo dei maschi che costringe all’aborto, è una "cultura" maschile, che non diciamo essersi espressa all’inizio del XX secolo con il saggio ‘Über den physiologischen Schwachsinn des Weibes’ di Paul Julius Möbius, sull’inferiorità mentale della donna (a parere del suo autore), ancora oggi considerato un classico.
Blandine Lenoir ha il merito di aver realizzato un film fondamentale e, in questo momento, necessario: pensiamo a quanto sta succedendo negli Stati Uniti sul tema dell’aborto, pensiamo al fatto che in un paese come l’Italia il diritto della legge 194 che regola l’interruzione di gravidanza è disatteso per questione di coscienza dalla quasi totale maggioranza dei ginecologi, e che in Svizzera la legge sull’aborto compie solo vent’anni quest’anno. Se poi pensiamo ai Paesi dell’Est europeo e al Brasile di Bolsonaro, scopriamo come i diritti delle donne siano silenziosamente cancellati.
Il film invita alla rivolta cosciente e civile.