L’esordio noir, il film politico, la crisi greca, i silenzi di ‘Amen’. E il Collège in cui insegna a leggere il cinema. Il Pardo alla carriera si racconta
Solo a Istanbul ha visto una ‘sala’ così grande. «Ma lì era uno stadio». Mai un suo film è stato selezionato nella storia di questo festival, così Locarno avrà pensato di porre rimedio con un Lifetime Honor, un Premio alla carriera Ascona-Locarno che Costa-Gavras, 89enne regista greco naturalizzato francese, ha ritirato in quella piazza che tanto lo ha colpito: «Conosco bene Locarno, è tra i tre ‘grandi’ del cinema insieme a Cannes, ma se c’è un festival importante è proprio questo, per il suo modo particolare di presentare i film, anche quelli più popolari, a fianco di opere più d’essai». Si dice sorpreso e onorato per il premio: «Sono venuto qui con piacere, scoprendo la notte scorsa questo enorme teatro». Un teatro che ricorrerà spesso nella mezz’ora di dialogo amabile, temporalmente collocato tra l’agosto del 2022 e l’Antica Grecia.
Nella sera a lui dedicata in Piazza Grande, Locarno75 gli ha fatto trovare ‘Compartiment tueurs’ (Vagone letto per assassini), esordio cinematografico del 1965 che doveva essere un esercizio di scrittura, ma che grazie all’amica Simone Signoret diventò un film; Yves Montand, futura presenza fissa nelle sue opere, gli chiese esplicitamente una parte. «Generalmente non guardo i miei film – dice il regista a poche ore dalla proiezione – ma oggi sono curioso, vorrei restare». Anche solo per quella «marea umana» riunita davanti a uno schermo. «A volte sono obbligato a guardare i miei film, perché mi si chiede di restare e parlare, a proiezione conclusa. È che i film esistono per la loro sensibilità, in un momento preciso, e poi la situazione cambia radicalmente. È una specie di storia d’amore».
Vale anche per il thriller, genere tramite il quale Costa-Gavras, dichiaratamente o velatamente, ha portato in sala la Dittatura dei colonnelli (‘Z - L’orgia del potere’, 1969, Oscar al Miglior film straniero), il clima dittatoriale filosovietico della Cecoslovacchia in ‘La confessione’ (1970), il Cile di Pinochet in ‘Missing - Scomparso’ (1982, Oscar alla Migliore sceneggiatura, la sua) e un gioiello chiamato ‘Music Box - Prova d’accusa’ (1989), tra le opere di riferimento della caccia al nazista della porta accanto. «La forma di tutti i miei film – dice Costa-Gavras – è quella che permette di tenere accesa l’attenzione del pubblico su quanto arriverà. Funziona un po’ come i quotidiani, come le storie in cronaca, con il buono e il cattivo e tutti ad aspettare come va a finire. Non ho un segreto, soprattutto perché questo modo di fare spettacolo risale all’Antica Grecia, con i primi teatri, quando gli spettacoli che si portavano in scena erano tutti thriller: Edipo era un thriller, Elettra anche. Oggi, quando parliamo di thriller pensiamo immediatamente a storie poliziesche e invece no, è che la vita è piena di thriller».
Qualunque sia la storia, «si tratta di trovare la maniera per raccontarla al pubblico così come al pubblico interessa. La storia ha una sua chance di fondo, e quando non ce l’ha devi trovare il modo per adattarla». E non è sempre possibile: «Mi fu chiesto un giorno di fare un film su ‘Voyage au bout de la nuit’ di Louis-Fernand Céline. Lessi la storia e dissi di no; tornarono da me altre tre volte e dissi che era impossibile. È letteratura che non è adattabile».
Si confessa, Costa-Gavras. Parlando tempo fa alla stampa italiana di quel ‘Compartiment tueurs’, disse che se solo avesse cominciato più giovane a fare cinema, avrebbe sposato anche altri stili e altre tematiche. Gli chiediamo quali. «I temi sono sempre stati tanti, il problema è sempre stato quello di trovare la giusta storia da raccontare. A volte sono stato capace di trovarla in un libro, altre volte l’ho scritta di mio pugno, altre ancora l’ho fatta scrivere. Ma sono sempre stato affascinato dal potere. Non solo quello politico, ma il potere che ognuno ha sugli altri. Il potere sul prossimo, sui bambini, sulle mogli, il potere di mia moglie su di me. E il potere di oggi è il denaro, la nostra società ne è dipendente. Non credo di aver visto qualcosa di simile negli anni 60; di certo esisteva un potere del denaro, ma esistevano anche possibilità alternative di sopravvivere, di essere liberi, di muoversi nella società. Di questo potere è difficile anche parlarne».
Se ne parla eccome in ‘Adults in the room’ (2019), primo film girato in Patria su quanto accaduto in Patria, ovvero la crisi economica: «Il potere del denaro e dell’Europa, che in Grecia ha creato una situazione assurda, che persiste, benché nessuno ne parli più. Il denaro è il tema permanente nella nostra società. L’altro tema è il fanatismo, religioso sì, ma anche politico. Si guardi a Berlusconi che doveva salvare la vita a tutti gli italiani: ha fatto quello che ha fatto e adesso è tornato. In Francia, almeno una volta ogni tanto, proviamo a cambiare le cose… ».
‘Adults in the room’ non è stato esattamente un successo: «Sono dispiaciuto, ma solo come ci si dispiace per un film che ha avuto un pubblico limitato. Continuo a credere, e lo dico sempre alle case di produzione, che la cosa importante sia che un film esista. Abbiamo fatto quello che si è potuto, mia moglie Michèle si è data da fare tanto per recuperare i fondi per farlo. Il film è lì, passa in televisione. C’è». Chiediamo se per caso il passato, anche doloroso, sia meno scomodo da ricordare rispetto al presente: «Non lo so. Non ho la soluzione per portare la gente al cinema. Servirebbero delle ricerche in questo senso… ».
Qualcuno gli fa notare che sono trascorsi giusto vent’anni da ‘Amen’, accompagnato da feroci polemiche, arrivate fino alla grafica della locandina – una croce che muta in svastica, così come concepita da Oliviero Toscani, oggetto di causa – ma partite dal fulcro del racconto. ‘Amen’ è basato su ‘Il vicario’ di Rolf Hochhuth, opera che si concentra sulle complicità tra nazismo e Santa Sede in tema di Olocausto. Santa Sede che all’epoca ebbe i silenzi di Papa Pio XII: «Ancora si aggiungono documentari – commenta il regista – e ancora si dimostra che il Papa non pronunciò mai una sola volta la parola ‘ebrei’, in quel discorso che i cristiani conservatori sostengono fosse straordinario. Leggendolo, molte pagine più avanti, si trova al massimo un feroce attacco al potere comunista, che combatteva Hitler».
La controversia legata ad ‘Amen’ è durata a lungo, per poi scemare: «Non fai un film per creare controversie, lo fai per creare la discussione, che è importante. La controversia non puoi controllarla, può essere molto negativa per un film. Non avrei mai pensato che sarebbe accaduto tutto questo…».
Costa-Gavras ha in cantiere una serie. «Io credo che questo formato possa essere un modo straordinario per approfondire un problema di cui si vuole trattare, ma è estremamente difficile. Ci sto lavorando, non so se sarò capace di arrivare alla fine, ma continuo. E se non la finirò, morirà dov’è ora». Un modo straordinario, «ma anche pericoloso, perché ne vedi un pezzo e ne vuoi subito un altro, come una dipendenza; termini la visione di una parte e non pensi più a cosa sia stata; ciò che t’interessa è soltanto cosa arriverà poi. Il film, invece, è qualcosa di completo. È come un libro, come un concerto, è come tutte le arti».
Grazie ai colleghi francesi (ma è una sorpresa anche per il regista il fatto che se ne parli) scopriamo che Costa-Gavras educa all’immagine i giovani e giovanissimi del Collège che porta il suo nome. Accade a Le Mans, comune francese noto per la celebre 24 ore. «L’idea di base – spiega il regista – non è "vi faremo diventare cineasti". Il concetto è questo: imparare a leggere non significa che si diventi automaticamente scrittori; significa avere un diverso rapporto con la lettura. Anche con i giornali». Allo stesso modo, «se sai come si gira un film, se sai cosa accade dietro quella macchina straordinaria, vedi i film in modo diverso, li scegli e non subisci tutto ciò che ti viene proposto». La Cinémathèque Française, per quanto più grande e con budget più elevati, fa lo stesso con i giovani cineasti. La differenza è che i giovanissimi sono restii a vedere film in bianco e nero, ma quando escono dalla sala sono felici».
"A cavallo fra Europa e Stati Uniti, intellettuale cosmopolita, rappresenta un esempio altissimo di impegno e di cinema inquieto, sempre pronto a porsi nuove domande". Così si legge nella motivazione del Premio alla carriera a Costa-Gavras. Quali nuove domande, chiediamo, deve porsi il cinema oggi? «Non voglio essere io a scegliere quali domande si debbano porre gli altri registi», specifica. «Posso dire quelle che mi posso porre io. Me le pongo sul digitale, su come condiziona le nostre vite e il cinema in particolar modo, in maniera catastrofica. Le sale che chiudono sono la cosa peggiore. Lo spettacolo, da 2’500 anni a questa parte, è essere seduti da soli, ma insieme ad altre persone, davanti a un proscenio. Quella di oggi pare una barbarie. Ma dall’altra parte il digitale, le piattaforme, aiutano centinaia di migliaia di persone a essere viste. È positivo, a patto che si salvino le sale, che restano il migliore, l’unico modo per guardare i film».
Costa-Gavras chiude nominando Vincent Cassel erede del ‘suo’ Yves Montand, e lodando un movimento di giovani registi francesi come Xavier Giannoli, «e questa donna straordinaria di ‘Titane’, Julia Ducournau». Per lui, insieme ad altri, sono «il prolungamento della Nouvelle vague, dal punto di vista dello spirito, decisamente francese».