Locarno 74

In Concorso, storie di donne affaticate

Gli applausi per ‘La Place d'une autre’ storia attuale di 150 anni fa; lo scempio di ‘Medea’; il bel complesso attoriale di ‘Gerda’

'La Place d'une autre', firmato dalla regista parigina Aurélia Georges
10 agosto 2021
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Strana giornata in Concorso dove ieri abbiamo visto un film francese, ‘La Place d'une autre’, che ci ha regalato la preziosa interpretazione di un'attrice unica qual è Sabine Azéma, e due film russi alquanto diversi come ‘Medea’ di Alexander Zeldovich e ‘Gerda’ dell’attrice e regista Natalya Kudryashova. ‘La Place d'une autre’ è firmato dalla regista parigina Aurélia Georges, che ha tratto la sceneggiatura da lei stessa firmata con Maud Ameline da ‘No Name’ (1862), opera di un autore ottocentesco, Wilkie William Collins (Marylebone, 8 gennaio 1824 – Londra, 23 settembre 1889), meglio conosciuto come amico e collaboratore di Charles Dickens. Lei spiega così la scelta: “No name racconta una storia di ribellione sociale e di emancipazione femminile, ricca di suspense. Volevo un racconto di luci e ombre che fosse acuto, romantico, intimo”.

Il racconto è trasferito nel XX secolo, e invece delle due sorelle del romanzo, ci sono due giovani donne dal destino diverso, Nellie (una bravissima Lyna Khoudri) e Rose (una intensa Maud Wyler). Nellie costretta dalla vita a cercare di sopravvivere anche prostituendosi, Rose di ottima famiglia restata sola dopo la morte del padre. I loro destini si incrociano nel 1914 durante la prima guerra mondiale: Nellie, più per mangiare che per spirito patriottico, si trova sul fronte dei Vosgi come infermiera; qui incontra Rose che cerca di raggiungere la signora Madame de Lengwil (Sabine Azéma), amica del padre, proponendosi come lettrice della ricca signora. Succede che, durante un bombardamento, Rose resti ferita gravemente e creduta morta da Nellie che si impossessa dei suoi documenti, e rocambolescamente raggiunge la vecchia signora, presentandosi come Rose. Le cose sembrano andare bene finché tempo dopo, nella casa si presenta la vera Rose, che uscita miracolosamente viva dall’ospedale e dopo varie peripezie, senza documenti, era arrivata da Madame. Qui nessuno vuole riconoscerla e la vera Rose si ritrova rinchiusa in manicomio. Ne fuggirà, per scoprire che Nellie rinuncia alla sua falsa identità e che Madame non vuole i suoi servizi di lettrice. Ben girato con semplice tensione e gran guida della recita, il film ha il merito di far sentire attuale una storia di oltre centocinquanta anni fa, reclamando il senso di onore e dignità e sottolineando la fatica di essere donne. Di rilievo il gioco dei costumi di Agnès Noden. Applausi meritati.


‘Medea’ di Alexander Zeldovich

Volgare scempio

Incomprensibile la ‘Medea’ di Alexander Zeldovich, titolo quanto mai inappropriato rispetto all’originale tragedia Medea (Μήδεια, Médeia) di Euripide del 431 a.C., ma anche rispetto alla magnifica Medea pasoliniana del 1969. La Medea di  Zeldovich è un’ inguaribile ninfomane e se uccide i figli non ne è straziata perché li aveva abbandonati essendo un peso per la sua vita dissoluta, ma solo per fare dispetto all’uomo che l’ha abbandonata. Detto questo, il film ambientato in Israele viaggia dalle parti dei serial turchi più che da quelle del cinema, la regia è blanda, i dialoghi inascoltabili e la recitazione di Tinatin Dalakishvili come Medea e Evgeniy Tsyganov come marito di lei è da dimenticare, colpa anche del regista che rinuncia alla complessità dei personaggi euripidei scegliendo una recita monotematica e pietrificata. Resta il mistero della scelta di un simile titolo per un’operazione di non velata pornografia. Per noi, il dispiacere per questo volgare scempio.


‘Gerda’ di Natalya Kudryashova

Fitti boschi di betulle

Ben altro offre ‘Gerda’ di Natalya Kudryashova. La regista presenta così il film: “La mia storia verte sullo ‘spazio metafisico’ nel quale siamo calati, che è molto più profondo del mondo che vediamo intorno a noi. Parla di come le persone abbiano sempre cercato, e ancora cerchino, sé stesse all'interno di questo spazio. Esiste l’anima? Come ci si sente in questo crudele mondo di carne? Perché soffriamo e perché ogni anima segue il proprio percorso e non un altro?”. Con grande rigore di linguaggio cinematografico, Natalya Kudryashova ci porta nella provincia russa, lontana dalle luci di Mosca e Pietroburgo, ci mostra un mondo fermo da quarant’anni, travolto dall’alcol, dalla prostituzione, dal fallimento dell’istituzione familiare, dalla corruzione, dall’assenza dello stato. Ci fa conoscere Gerda, una giovane studentessa di sociologia che si guadagna l'università e da vivere in un peep-show. Lei vive con la madre ossessionata dalla presenza alcolica dell'ex marito che da tempo è andato a convivere con un'altra. Gerda, fugge dalla sua vita  immergendosi in fitti boschi di betulle, lei non è che una delle tante, e ancor più sola si sente quando l'università le affida un’indagine sociale che la porta a contatto con drammatici vuoti di vita e coscienza. Bella la recita dell’esordiente Anastasiya Krasovskaya nella parte della protagonista, e con lei il bravo Yura Borisov nella parte dell'unico suo amico, e un gruppo d’attrici e di attori veramente interessanti.