Figli delle stelle

Gli ABBA spiegati a mio figlio (ascoltando ‘Voyage’)

ABBA - ‘Voyage’ - ★★★✩✩ - Messi insieme fanno 297 anni. Dopo un silenzio di 40 sono tornati. Breve storia di un quartetto da 400 milioni di copie vendute

Brighton, 6 aprile 1974, Eurovision Song Contest (Keystone)
20 novembre 2021
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Dovremmo essere qui a parlare del nuovo disco del 27enne Salmo e invece scriviamo degli ABBA, che messi insieme di anni ne fanno 297 (da poco, Frida ha compiuto gli anni lunedì scorso). Ne scriviamo un po’ perché gli svedesi non ce l’hanno col mondo intero e un po’ perché nove album in 48 anni sono pochi, ancor più se tra il penultimo e il nuovo ‘Voyage’ ne sono trascorsi 40. Per rendersi conto di quanto ancora, quarant’anni e 400 milioni di dischi dopo, la musica degli svedesi sia attuale sarebbe sufficiente trascorrere una mezz’ora su Alpenland TV, dove per la musica da ballo svizzerotedesca sembra che il tempo si sia fermato (agli ABBA del 1976). Riavvolgendo il nastro…

L’alba degli ABBA

Da una parte la bionda Agnetha Fältskog, già stellina del pop svedese dalle doti cantautorali, e il biondo Björn Ulvaeus, leader degli Hootenanny Singers dalle sonorità skiffie; dall’altra, la mora Anni-Frid Lyngstad detta Frida, norvegese naturalizzata svedese salita all’attenzione del pubblico la notte in cui la Svezia cambiò il senso di marcia sulle strade con tanto di show televisivo, e l’altrettanto biondo Benny Andersson, tastierista degli Hep Stars, emuli di Beatles, Who e Stones. I futuri ABBA – acronimo nato dalle iniziali dei nomi di battesimo e nome palindromo (da cui la rara concomitanza con il singolo del 1975 intitolato ‘SOS’, palindromo anch’esso) – sono due coppie che andavano in vacanza insieme e cantavano insieme senza alcuna intenzione di formare una band, e con il sodalizio Ulvaeus-Andersson ben saldo prima e dopo il successo in quattro, una collaborazione durata anche nei quarant’anni di silenzio.

La band nasce ufficialmente nel 1972, senza ancora l’acronimo, su insistenza del quinto ABBA Stig Anderson, produttore e proprietario della Polar Music; una specie di sesto ABBA è Michael Tretow, fonico allenatosi con il wall-of-sound (muro del suono) di Phil Spector, attualizzato per l’occasione in Abba Sound. Il successo arriva, è noto, grazie all’Eurovision Song Contest: un terzo posto nel 1973 in Lussemburgo con ‘Ring Ring’ (traduzione del testo affidata a Neil Sedaka), poi il trionfo nel 1974 a Brighton sulle note di ‘Waterloo’, dove i riferimenti alla sconfitta di Napoleone (costumi di scena inclusi) sono un pretesto storico per cantare di umane pene d’amore.

Nonostante la vittoria, gli ABBA non apriranno il concerto dei Rolling Stones come i Måneskin, e non perché le cantanti non facciano la linguetta e i cantanti non indossino i reggicalze, ma perché oggetto di una generale indifferenza. Snobbati dagli inglesi fuori Brighton, poco aiutati dal singolo ‘So Long’, sarà l’Australia a fare da aprista al successo planetario, dapprima con ‘I Do, I Do, I Do, I Do, I Do’, poi con ‘SOS’, dal terzo, eponimo album con dentro ‘Mamma Mia, più tardi film e musical, legittimando dall’altra parte del globo l’industria musicale scandinava tutta.

ABBAmania

Dal 1976, quando in Australia lo speciale televisivo che parla di loro fa più spettatori dell’allunaggio del 1969 (record ancora imbattuto), e col singolo ‘Fernando’ che eguaglia ‘Hey Jude’ dei Beatles con 14 settimane al primo posto delle classifiche australiane, è un’ABBAmania unica, aiutata dai potentissimi videoclip di Lasse Hallström, sublimati in ‘ABBA – The Movie’. Sempre in quell’anno arriverà ‘Arrival’, con dentro la splendida ‘Dancing Queen’, costruita tendendo un orecchio a ‘Rock Your Baby’ di George McRae e un altro alle ritmiche di Dr. John su ‘Dr. John’s Gumbo’, con intrecci vocali rivelati dai documentari in cui soprano e mezzosoprano producono lampi di eternità pop. L’ABBAmania andrà fino al 1981, ben oltre i rispettivi divorzi (“Il problema era fuori, mai in studio”, ricorda Benny) e malgrado le stroncature del Rolling Stone (“Musicaccia dalle liriche insipide”). “Avevamo i vestiti sbagliati”, dice ancora Andersson alla Cbs, “ma ce ne siamo altamente fregati, perché avevamo questo enorme pubblico al quale piacevano i nostri dischi». Quel che è servito a Björn per comperarsi un’isola poco fuori Stoccolma, per esempio, dove scrivere le canzoni.

ABBAtar

“Qual è il segreto di una canzone pop?”, chiede Seth Doene, inviato della Cbs in Svezia poco prima dell’uscita di ‘Voyage’. “Una canzone pop deve contenere qualcosa che uno non si aspetta”, risponde il canuto Benny, cui si devono le musiche (e quindi molto). “Qualcosa di veramente innocente’, gli fa eco Björn, autore dei testi, più spesso del primo davanti al mixer, a selezionare, come un tempo, il flusso d’idee armonico-melodiche del collega. Che sulla genesi del nuovo album dice: “Quando abbiamo riconvocato le signore in studio non sapevamo cosa sarebbe potuto succedere, perché non avevano più trent’anni, ma settanta e più”, spiega Benny. “Ma poi hanno attaccato ed è stato come un faro sparato in piena faccia’.

Il tema di archi che apre la bella ‘I Still Have Faith In You’, il glissato di pianoforte e quell’‘andamento lento’ che arrivano entrambi da ‘Dancing Queen’ ad aprire ‘Dont’ Shut Me Down’, fanno brillare i due singoli che hanno anticipato l’uscita dell’album e che sono, non a caso, le cose più forti del disco, insieme a un allegro rock and roll intitolato ‘No Doubt About It’. ‘When You Danced With Me’ è un racconto in salsa Irish dei bei tempi che furono; altrettanto autobiografiche sono le piccole cose narrate nella natalizia ‘Little Things’. Il resto è del buon easy-listening farcito di gradite citazioni, a partire da ‘Bumblebee’ (aperta da flauti alla ‘Fernando’), ‘Keep An Eye On Dan’ (che in coda ha un micro-arpeggio di ‘SOS’) e lo shuffle alla ‘Waterloo’ di ‘Just A Notion’.

‘Voyage’ è anche e soprattuto una frontiera digitale. Cinque settimane di riprese e 160 telecamere, coi quattro artisti con addosso tute ‘spaziali’ e sensori di movimento, hanno portato ad ‘Abba Voyage’, concerto che nel 2022 vedrà gli avatar dei quattro svedesi, digitalmente restituiti al pieno della gioventù (gli ‘ABBAtar’, come li ha chiamati qualcuno) interagire con una band umana di dieci elementi nella ABBA Arena messa in piedi per l’occasione presso il Queen Elizabeth Olympic Park a Londra. Un’alternativa alla criogenesi, l’Abba Voyage, e un modo per preservare gli svedesi per altri quarant’anni. Forse per sempre.


For ever and ever