A colloquio con Massimo Scampicchio, presidente della commissione artistica della Festa federale della musica popolare
All’invasione (pacifica) di Bellinzona manca sempre meno. La città è pronta a reggere l’urto di 60mila persone almeno (qualcuno si allarga a 80mila) e la musica è pronta per cominciare. Lo farà su 13 palchi, 6 principali con assistenza tecnica e altri 7 acustici, ospitanti le formazioni che possono suonare non amplificate. Massimo Scampicchio, produttore Rsi, è il presidente della commissione artistica. Dal 21 al 24 settembre sarà al lavoro anche su sei programmi radio che si svolgono tutti in Piazza del Sole, alcuni in quattro lingue, uno per canale linguistico, tutti ripresi per il web e in seguito proposti on demand dalla Ssr. Ma il suo lavoro – «Invitare, raccogliere le adesioni spontanee, selezionare tutti i gruppi» –, in collaborazione con l’Associazione svizzera della musica popolare e gli altri membri della commissione artistica, è cominciato molto prima.
«È stato un lavoro lungo, delicato e difficoltoso, e ci ha portati ad avere alla fine 230 formazioni». Gli chiediamo a quante abbiano dovuto rinunciare: «A nessuna, sempre che avessero le caratteristiche. Non abbiamo ovviamente potuto accogliere quelle formazioni ska, reggaeton o di altri generi che si sono proposte. È stata fatta una scelta abbastanza inclusiva ma non totalmente. In fondo, deve essere la Festa Federale della Musica Popolare.
Massimo Scampicchio: cosa ha, o cosa avrà di diverso quella di Bellinzona dalle altre feste federali?
Registriamo una massiccia partecipazione del sud delle Alpi, cosa che non si è mai verificata nelle precedenti 13 edizioni nord-alpine: più di sessanta formazioni rispetto alle consuete due o tre. Tra i motivi di questa grande risposta c’entra senz’altro la distanza, considerata in termini chilometrici ma anche in termini di tipologia di musica, che oltre Gottardo cambia radicalmente. Credo che il coinvolgimento del sud delle Alpi fosse anche una delle intenzioni dell’Associazione della musica popolare svizzera quando ha deciso di portare per la prima volta la festa qui, in ottica di apertura di orizzonti, ma pure strizzando un occhio al possibile incremento di adesioni.
Che effetto ha avuto, o che effetto avrà secondo lei la Festa federale in questo cantone?
L’effetto si è già fatto sentire: da noi è letteralmente esploso tutto quello che gira intorno alla musica popolare. Sono nati sei, sette gruppi appositamente per questo evento; nuove formazioni che suonano tanto la musica più tradizionale quanto quella che si potrebbe al limite chiamare ‘fusion’, e che alla tradizione unisce, per esempio, il jazz. Penso al Quartetto del Verbano, già Swing Power, che di base sono jazzisti e danno questa impronta molto piacevole, risultante dalla fusione dei due generi. Penso allo Strad’Alta Folk Ensemble del maestro Claudio Sartore, e ad altri esperimenti di questo tipo, in cui ai quattro accordi della struttura principale si è aggiunto un po’ di tutto. Fermo restando che la parte più numerosa è rappresentata da quelle formazioni che nutrono il massimo rispetto verso un mondo molto tradizionale.
Chi meglio di lei potrebbe descriverci la musica popolare di questo cantone: ci concede una breve lectio?
È solo un punto di vista. Premettendo che l’influenza del nord Italia, e generalmente di tutto l’arco alpino, è presente ovunque, la musica popolare nella Svizzera italiana si dirama oggi sostanzialmente in tre grossi filoni: senza ordine di importanza, il primo è rappresentato dalla tradizione della bandella, che ne ha sempre costituito una parte considerevole. Ora queste formazioni si sono ridotte, ma a Bellinzona ci saranno quasi tutte, una dozzina di quelle operanti, ed è caso unico. Poi ci sono i gruppi che eseguono la musica popolare tramandata oralmente, canti e musiche non scritte, arrivati sino a noi tramite il ‘cantaparola’ musicale. È il grande lavoro di ricerca portato avanti da gruppi come Vox Blenii e Vent Negru, che sono andati a cercare quelli che sono gli “informatori”; li hanno ascoltati, registrati e ora ne ripropongono la musica nel modo più fedele, senza alcun arrangiamento o suono ‘strano’; pronti ora da incidere su cd, o in forma elettronica, fissandoli nel tempo una volta per tutte (ed è forse un peccato?). Tutto questo è filologicamente fantastico.
Il terzo ramo è rappresentato dagli autori del Novecento, quelli con cui, in un certo senso, s’identifica sovente la canzone ticinese odierna. Oltre alle importazioni dal nord Italia, cito Vittorio Castelnuovo, che di canzoni ne ha scritte un centinaio, e con lui Waldes Keller, Pino Guerra o Fernando Paggi, il primo direttore dell’Orchestra Radiosa, autore, tra le altre, di ‘Cielo azzurro di Morcote’. E poi Guido Zanzi, la stessa Nella Martinetti, che ha scritto alcuni testi, e svariati altri. Aggiungerei una quarta categoria, quella ‘festaiola’, rappresentata da gruppi come i Tri Per Dü o i Tirabüscion, che uniscono tutto, dal Castelnuovo alla musica tramandata, anche quella del nord Italia, basta che ‘faccia ballare’, ed è bello così. E alla Festa federale, a far festa appunto, ce ne saranno parecchi.
Qual è al momento lo stato della musica popolare ticinese?
È una musica viva, alla quale un evento importante come questo potrà senz’altro giovare. Intanto, la Festa l’ha già tirata fuori dai grotti per metterla sul palco con la dignità che merita. Resta ancora un divario da colmare, quello tra il tipo di ascolto qui da noi, e quello dall’altra parte del Gottardo: lì la cosa avviene spesso in religioso silenzio, come di fronte a un quartetto d’archi; da noi il concetto rimane più festaiolo, nel senso di quanto detto in precedenza. Ma è solo una delle differenze tra la nostra musica popolare e quella svizzero-tedesca.
Quali sono le altre?
La differenza è nella musica stessa. C’è una simpatia reciproca, ma è difficile mischiare le cose. Possono convivere, può succedere che un gruppo ticinese venga influenzato dalla musica d’oltre Gottardo, ma è più facile che i ticinesi vadano in cerca di influenze jazz. Oltre Gottardo però c’è un vantaggio, e cioè che nelle famiglie – e a Bellinzona ne avremo una trentina – a cinque-sei anni molti suonano lo schwyzerörgeli, forse inizialmente più facile da suonare in gruppo visto che le tonalità e il repertorio sono gli stessi per tutti. Questo è un motivo per cui la musica popolare è forse più radicata a nord delle Alpi, sebbene, paradossalmente, la nostra abbia radici sparse e molto più lontane nel tempo. È difficile da dire.
A Bellinzona apre Marco Zappa, a seguire tutti gli altri. Ci fa qualche nome?
Abbiamo chiamato dal Trentino Alto Adige Sabrina Salvestrin, che è spesso dalle nostre parti e che è molto legata alla tradizione popolare della musica di quella regione, per esempio interpreta a suo modo i canti degli alpini. È una testimonial contemporanea del nord est dell’Italia. Dal nord ovest invece arrivano i Lou Dalfin, con radici nella musica occitana, a tratti aggressivi e rock. Abbiamo Flavio Caldelari, con un variato repertorio di musica ticinese, milanese e tanto altro.
La prima sera suoneranno i Vad Vuc, legati alla musica popolare per il cantare in dialetto, almeno in parte, e per il suonare gli strumenti della tradizione, violino, mandolino, fisarmonica. Sebbene abbiano anche altre influenze musicali, il suono è quello. Molti di loro, inoltre, vengono dal mondo bandistico e ci pareva veramente poco carino fare i pignoli. Magari i tradizionalisti arricceranno il naso, ma volevamo essere il più aperti possibile.
Come alla Notte della Taranta, i cui maestri concertatori possono pure venire dal pop…
Esattamente. Per lo stesso motivo avremo la Scarp de Tennis Band, bellinzonesi che s’ispirano anche a Enzo Jannacci e cantano in dialetto. Non hanno strumenti della tradizione, ma lasciarli fuori sarebbe stato un po’ come andare al Vaticano e non invitare il papa. Quanto a Marco Zappa, è un millepiedi (o millemani) musicale, nel senso che ha almeno un piede in ogni genere di musica. È un professionista incredibile, arrangia, suona, scrive, canta. Per questa festa ha ricevuto l’incarico di fare un programma apposito, con musica sua o dalla tradizione: un’ora e mezza di concerto.
Di Vox Blenii e Vent Negru abbiamo detto, ci sono un po’ tutti. Anche se non ci sono spazi per le jam session nottetempo, speriamo che qualche collaborazione possa comunque nascere sui palchi acustici, liberi dalle 21. Segnalo che alcuni gruppi si esibiranno anche nelle quattro sale (Oratorio, Palestra federale, Palestra Scuole sud, Teatro Sociale, ndr), dove si trovano gli esperti pronti a valutare due/tre brani. Ci si può sedere lì, se non li si è visti in piazza, come a una passerella.
Per concludere: il futuro della musica popolare ha un nome, o più nomi?
Sui giovani dobbiamo lavorare un po’. Abbiamo talenti fantastici, come Mattia Albisetti che suona il mandolino con la stessa intenzione di Hendrix con la chitarra. Al momento ama molto la musica popolare, la vive, anche grazie a una solida tradizione familiare. Sono certo che non la dimenticherà crescendo. Nelle bandelle qualche giovane inizia a vedersi, ne sono nate di nuove come Chilometro Zero, esempio di bandella ‘di lusso’, con musicisti che vengono dal Conservatorio. Mancano forse le bandelle giovani per fare festa. Chissà, magari nasceranno durante questo fine settimana.
Massimo Scampicchio