Culture

Lorenzo Bianconi, la musica guardata negli occhi

Il volume curato dal musicologo di origini ticinesi fa ordine (e vince premi) nella collezione di un francescano che nel Settecento diede un 'volto' alle partiture

'Ritratti del Museo della musica di Bologna. Da padre Martini al Liceo musicale' (Ed. Leo S. Olschki)
25 febbraio 2020
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C’è un ticinese illustre dietro la riscoperta di un frate francescano che nella prima metà del Settecento si era messo in testa di redigere una Storia della musica in cinque volumi, rimasta incompiuta. Un’impresa forse scontata per noi uomini moderni, dipendenti dalla catalogazione digitale; meno per un 25enne dell’epoca divenuto pioniere della storiografia musicale. Due i lasciti che si devono a padre Giovambattista Martini (Bologna 1706-1784): la ricchissima biblioteca, custodita oggi nel Museo della musica di Bologna, e l’iconoteca, un immenso, visuale ufficio anagrafe dei musicisti del tempo confluito in ‘Ritratti del Museo della musica di Bologna. Da padre Martini al Liceo musicale’, volume per il quale l’editore Leo S. Olschki ha previsto rilegatura in tela, immagine di copertina sovraimpressa e scritte in oro. L’opera si deve al musicologo di origini ticinesi Lorenzo Bianconi, chino sulla messe di ritratti insieme all’omologo Nicola Ursula, agli storici dell’arte Maria Cristina Casali Pedrielli, Giovanna Degli Esposti e Angelo Mazza, e ad Alfredo Vitolo, già bibliotecario del Museo internazionale e Biblioteca della musica di Bologna.
Nato a Minusio, Bianconi ha lasciato il Ticino all’età di diciannove anni per studiare a Basilea e poi ad Heidelberg, dove nel 1974 si è addottorato; ha lavorato a Roma, ha insegnato per un breve periodo all’Università di Princeton, negli Stati Uniti; poi all’Università di Bologna, ateneo presso il quale è oggi Professore emerito. Collaborazioni, riconoscimenti e pubblicazioni in ambito di musicologia sono qui irriportabili per ampiezza. «Dei ticinesi si dice che sono come i cavoli: trapiantati vengono meglio» esordisce col sorriso, lui che al Ticino è legato per le collaborazioni in ambiti musicali con Carlo Piccardi, ma che qui torna molto raramente. Sempre con il sorriso, dice di non rinnegare assolutamente nulla. Ad Ascona vive una sorella, il fratello, geologo, è in Germania. I tre sono i figli di Piero Bianconi (1899-1984), nome legato indissolubilmente alla storia dell’arte, «passione adolescenziale» che il giovane Lorenzo, indeciso su quale ‘storica’ via intraprendere, oggi adulto dice di aver riscoperto in occasione del lavoro su questo volume. «Porto enorme riconoscenza a mio padre per le nostre lunghe passeggiate domenicali nelle quali mi parlava di storia dell’arte. Devo a lui la lettura di libri fondamentali, le mostre italiane che recensiva e alle quali mi portava; grazie a lui a diciott’anni scoprii Roberto Longhi; ho imparato da lui ‘annusando’, per imitazione, il mestiere dello storico dell’arte. Poi mi sono dedicato alla storia della musica, ma qualcosa è rimasto. L’altra persona cui devo moltissimo è il pittore Emilio Maria Beretta (1907-1974), mio padrino di battesimo, che ad ogni incontro parlava di belle arti. Sento di essere stato artisticamente viziato».

Bellezza di nicchia

Il volume curato da Bianconi, che contiene tutti e 312 i ritratti, riprodotti uno per uno a colori, si è aggiudicato la seconda edizione del Claire Brook Award quale migliore pubblicazione monografica di soggetto iconografico-musicale del 2018, premio conferito dal Centro di Ricerca e Documentazione Musicale intitolato a Barry S. Brook nella City University of New York. «L’iconografia musicale – spiega Bianconi – è un ramo che sta esattamente a metà tra la storia della musica e quella dell’arte. La rappresentazione visiva di un’arte immateriale come quella dei suoni, nel caso dei ritratti, in sé e per sé non pone problemi vertiginosi perché non si tratta tanto di effigiare la musica, bensì i musicisti. Ma per affrontare le tracce visive lasciate dall’arte musicale occorre comunque sempre svolgere una doppia ricerca, sia sul versante della storia dell’arte che di quella della musica». L’iconografia musicale ha oggi un proprio centro di ricerca a New York: «Ricevere un premio da quella istituzione è la miglior soddisfazione che potevamo attenderci in questo campo di ricerca. Si tratta di una nicchia, ma le nicchie hanno le loro bellezze e i loro pregi».
Riassunta telegraficamente, la storia di padre Martini è affascinante: musicista, compositore, didatta, spinto dall’idea che la musica non fosse «soltanto un servizio per i ricchi o per la Chiesa – spiega Bianconi – ma un’arte che ha una sua storia», il francescano arriva a disporre di tale patrimonio grazie anche a un fitto rapporto epistolare con tutta Europa (seimila le lettere custodite a Bologna); nel 1770, concepisce l’idea di costituire «una sorta di Pantheon dei musicisti», con le opere archiviate nelle sue celle sin dopo la morte. «L’arrivo di Napoleone a Bologna – continua Bianconi – coincide con l’apertura della scuola di musica cittadina, nel convento espropriato oggi sede del Conservatorio, in cui insegna Stanislao Mattei, che di padre Martini era l’allievo del cuore. Dopo la morte del maestro, Mattei porterà con sé il materiale da questi ereditato, che diventerà proprietà del liceo. Quando nel 1942 nascerà il Conservatorio, la Città di Bologna conserverà la proprietà del patrimonio. È grazie alla saggezza dei bolognesi che nel 2004 sarà possibile costituire il Museo della musica, sfruttando il lascito di un altro palazzo da parte di una ricca signora con il mandato di creare appunto un tal Museo».

Dieci anni, forse più

Per dare senso compiuto al tutto, per giungere al volume premiato a New York, ci sono voluti dieci anni. «Forse anche di più. L’iniziativa risale al 1984, quando un gruppo di tre storici dell’arte che figurano tra i sei autori del volume – Mazza, Casali Pedrielli e Degli Esposti, ndr – promosse una prima ampia esposizione del materiale, corredata da un primo piccolo ma importante catalogo. Dai molti dipinti ancora anonimi sia per l’effigiato che per l’autore nacque l’idea di un catalogo analitico, incarico assunto in primis dal Conservatorio di Bologna, poi passato nelle mani del ‘Saggiatore Musicale’», l’associazione di musicologi fondata nel 1994 con Bianconi vicepresidente. «Un lavoro senza ritorno economico alcuno, condotto per pura passione». I tempi lunghi si spiegano per l’aver voluto «scovare l’ago nel pagliaio. Queste non sono cose di cui il mondo ha urgente bisogno, importa di più che siano fatte a regola d’arte».

Approccio investigativo

In nome dell’approccio investigativo che è proprio dello storico – «Poter guardare in faccia i personaggi della vicenda storica può essere illuminante per capire come sono andate le cose» – chiediamo al musicologo i momenti più appassionanti dell’indagine: «Di certo alcuni ritratti di cantanti dei quali si sapeva pochissimo o che addirittura erano volti anonimi. La ricostruzione congiunta tra storia dell’arte e della musica ha consentito di dar loro un’identità. È il caso del protagonista maschile del Mitridate re di Ponto, prima opera del 14enne Mozart composta per il Teatro Ducale di Milano». La collezione vanta poi «due capolavori assoluti: Johann Christian Bach dipinto da Thomas Gainsborough, unica opera del pittore inglese esposta in un museo italiano, che si deve all’essere stato, il Martini, maestro dell’ultimo figlio maschio di Johann Sebastian. L’altro capolavoro è il ritratto di Farinelli, unico dipinto rimasto a Bologna della collezione che il cantante riportò dalla Spagna a Bologna e parte di trecento opere, poi dilapidate dai suoi eredi».
Prima di congedarci, Bianconi ci lascia un suo ritratto, quello della Bologna del 1770, «quando da qui transitarono sia il musicologo Charles Burney, amico di padre Martini e affascinato dalla sua biblioteca, per recarsi insieme al francescano da Farinelli, negli stessi giorni in cui a Bologna arrivavano Leopold Mozart e il figlio Wolfgang Amadé, anch’essi invitati dal cantante. In quei dieci giorni di agosto, il meglio della musica europea era qui, a casa di Farinelli».