Un approfondimento della Scuola media di Breganzona dedicato all'uomo che documentò il genocidio con le sue immagini
Lo scorso anno scolastico la Scuola media di Breganzona ha promosso degli atelier nei quali gli allievi erano chiamati ad approfondire temi legati ai genocidi e alle molte forme di discriminazione. Pubblichiamo il lavoro che alcune alunne hanno dedicato a un Giusto, come quelli ricordati nel «Giardino» presente al Parco Ciani di Lugano. È apparso questa settimana su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana
Lo scorso aprile è stato inaugurato al Parco Ciani di Lugano il primo Giardino dei Giusti della Svizzera. Questi giardini intendono mantenere viva la memoria di coloro che hanno avuto il coraggio di difendere i perseguitati, rifiutandosi di piegarsi alle logiche dei totalitarismi e delle discriminazioni.
Armin Wegner (1886–1978) è stato riconosciuto dagli armeni come Giusto per essere stato tra i primi a denunciare il dramma di questo popolo: il genocidio perpetrato nell’Impero Ottomano durante la Prima guerra mondiale. Armin ha ricevuto lo stesso riconoscimento anche dalla comunità ebraica per una lettera che aveva spedito ad Adolf Hitler denunciando le politiche antisemite.
A scuola abbiamo avuto l’occasione di conoscere il figlio di Wegner, Mischa, e ci siamo anzitutto domandati se il padre gli avesse mai raccontato le sue esperienze: «Non mi ha mai parlato dei momenti tragici della sua vita. Chi ha subito grandi ingiustizie non ne parla», spiega Mischa Wegner. «Perché tanti Giusti stanno emergendo dal passato solo oggi?», ci domanda indirettamente. «Perché è il mondo che li va a cercare, loro non si espongono, non cercano meriti e fama per quanto hanno fatto. Ho potuto scoprire la storia di mio padre documentandomi dopo la sua morte, in occasione di un’esposizione delle sue fotografie, nel 1995. Tenendo il discorso di apertura mi hanno sorpreso le lacrime; con il tempo ho dovuto imparare ad affrontare queste emozioni, per non piangere più», ci confida Wegner. Raccontando, Mischa ripercorre la vita di suo padre: «È riuscito a raggiungere una certa notorietà come scrittore e poeta ancor prima di arruolarsi come infermiere nell’esercito tedesco durante la Prima guerra mondiale. Inviato in Anatolia è stato testimone oculare della tragedia subita dal popolo armeno». Di fronte alle esecuzioni sommarie, alle marce forzate nel deserto, ai campi in cui vennero costretti i sopravvissuti, Armin Wegner non ha distolto lo sguardo, «a differenza degli altri tedeschi non è rimasto indifferente e nonostante i divieti ha scattato quelle fotografie che costituiscono il nucleo della testimonianza storica del genocidio armeno, ancora oggi non ufficialmente riconosciuto o addirittura negato in alcuni paesi», spiega il figlio Mischa.
Una caratteristica particolare distingue gli scatti di suo padre: «Non sono le foto di un fotografo ma di un poeta, ossia di un uomo capace di cogliere con particolare profondità l’istante vissuto». Il figlio di Armin ci mostra la foto divenuta simbolo del genocidio: «Sembra un’immagine in movimento e al suo interno racchiude tutto il dramma subito dal popolo armeno». «Al termine del conflitto mio padre ha continuato a battersi per far conoscere al mondo la tragedia armena: ha organizzato conferenze e scritto una lettera al presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson facendo presente che il popolo armeno aveva sofferto enormemente e avrebbe avuto diritto a una nazione indipendente».
Mischa spiega come Armin dovette scontrarsi con un generale clima di indifferenza. Ben presto si smise di parlare del genocidio armeno: «Quando nel 1965 mio padre riprese a scrivere di questa tragedia, pochissimi giornali accettarono di pubblicare il suo articolo. Tra le poche testate giornalistiche che ebbero il coraggio di rompere il silenzio vi fu la Weltwoche in Svizzera».
Nel frattempo la storia aveva seguito il suo corso, ripetendosi. «Mio padre, trovandosi in Germania negli anni dell’ascesa del nazismo, si accorse che ciò che era successo agli armeni stava accadendo di nuovo.
Di fronte alle politiche antisemite del regime decise di scrivere una lettera ad Hitler per denunciare questi atti disumani e prevenire la catastrofe che in seguito venne chiamata Shoah». Un atto coraggioso, una delle prime proteste aperte di un intellettuale tedesco contro il Führer, pensiamo noi. «Non era un eroe», precisa Mischa, «lui vedeva il pericolo imminente, perché lo aveva già conosciuto altrove, vedeva il ripetersi della tragedia, che questa volta invece di abbattersi sugli armeni avrebbe colpito gli ebrei, portando alla rovina anche la Germania». Mischa precisa che per comprendere a fondo il genocidio ebraico si deve conoscere quello armeno: «Il meccanismo è il medesimo; le dinamiche iniziali, il modo di procedere, le giustificazioni addotte sono gli stessi».
«Per il resto della sua vita mio padre tentò di scrivere un’opera interamente dedicata agli armeni. Ed è questo che si è sempre rimproverato: di non essere riuscito a dare agli armeni la storia del loro popolo», ci racconta il figlio di Wegner. «Ma sono le fotografie a costituire il contributo maggiore dato da Armin alla memoria storica; esse lo hanno reso un Giusto», conclude
Mischa, constatando che oggi è difficile trovare persone in grado di anteporre la modestia e l’umiltà al desiderio di fama e di denaro: «È questa la grande differenza dei Giusti. I Giusti non hanno fatto nulla per rendere sé stessi importanti, il destino li ha posti nella condizione di aiutare i perseguitati, testimoniare e trasmettere ai posteri».
E lì termina il loro compito poiché, secondo Mischa, spetta a noi, alle nuove generazioni, impedire che queste tragedie si ripetano: «Coloro che vi portano a conoscere queste tragedie vi stanno aiutando ad aprire gli occhi, perché voi impariate fin da ora a capire gli eventi e il mondo che vi circonda, interessandovi e partecipando in modo responsabile e autonomo alle decisioni politiche».
Armin Wegner nasce in Germania nel 1886. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruola come infermiere e nel 1915,
a seguito dell’alleanza tra Germania e Impero Ottomano, viene inviato in Anatolia. Qui è testimone dello sterminio del popolo armeno. Scatta numerose fotografie e raccoglie testimonianze che riesce ad inviare all’estero. Scoperta la sua attività viene richiamato in Germania. Al termine del conflitto scrive una lettera al presidente degli Stati Uniti, nella quale chiede la creazione di uno Stato indipendente per gli armeni. Dopo aver sposato la scrittrice ebrea Lola Landau, nell’aprile del 1933 Wegner scrive una lettera a Hitler nella quale denuncia la politica di persecuzione anti-ebraica e i comportamenti inumani dei nazisti. Ciò costa a Wegner l’arresto: la Gestapo lo interroga e lo tortura; viene trasferito in tre campi di detenzione. Quando viene rilasciato si rifugia in Italia, allora sotto il regime fascista: riesce a sottrarsi alle persecuzioni del regime vivendo nell’ombra. In quegli anni nasce il figlio Mischa. Negli anni Sessanta il suo ruolo di testimone del genocidio armeno e difensore dei diritti dei popoli oppressi, degli armeni e degli ebrei, viene riconosciuto a livello internazionale.