È quello che si apre sulle sue ‘Sculture a cielo aperto’, fino al 31 dicembre a Gnosca, dentro e fuori l’ex Chiesa di San Giovanni Battista
Invitato dall’Associazione di animazione di Gnosca, Paolo Bellini espone all’interno e sul sagrato dell’ex chiesa di San Giovanni Battista, monumento romanico documentato dal 1202, una dozzina di sue sculture in ferro, di medio-grande formato, degli ultimi vent’anni.
Si tratta di ‘Sculture a cielo aperto’ e l’impatto sul visitatore è forte perché il contesto in cui le opere vengono esposte influenza notevolmente la sensibilità e il giudizio dell’osservatore. Il quale, all’interno di quello spazio così carico di storia, si trova simultaneamente confrontato con tre realtà che fanno presa e convergono su di lui: il vigore primigenio della natura che si manifesta in tutta la sua pienezza nei monti e nei boschi soprastanti per via del tetto crollato nei secoli scorsi; il sapore antico e il sentimento del sacro incarnati nelle forme e nei filari di pietre di quella antica chiesetta romanica; e il segno della contemporaneità calato in quelle sue opere che si staccano dalla tradizione scultorea classica e parlano un’altra lingua. Natura, storia e cultura, contemporaneità: tre entità che, entrando in relazione, si confrontano e magari anche si scontrano in uno stesso momento, dentro un unico spazio.
Ora, fare scultura come la fa Bellini, servendosi cioè del ferro, materiale preziosissimo nella ‘età del ferro’ ma da lui prelevato oggi in discariche, tra i materiali di scarto della nostra società, significa anzitutto dislocare la sua arte sia rispetto agli elementi primari della natura (le prime sculture dell’uomo erano in creta, pietra o legno), sia rispetto all’alta tradizione bronzea che dal mondo classico arriva fino alle avanguardie storiche, per sottolineare invece l’entrata in una realtà socio-politica caratterizzata tanto dalla grande industria siderurgica quanto della società dei consumi: con tutte le implicazioni che ne derivano. Per la verità anche Bellini aveva creato le sue prime sculture colandole nel bronzo, che abbandona però negli anni ’80 a favore di elementi metallici recuperati e poi assemblati mediante saldatura. È la ‘tradizione del moderno’ (bastino i nomi di Julio Gonzales o di Bernhard Luginbühl per la Svizzera) che non è solo un cambiamento di materiale; è invece un mutamento radicale nella concezione e creazione della scultura sempre fondata comunque su una solida conoscenza del mestiere e dei materiali appresa in fonderia. Non si lavora più, infatti, sulla massa per via sottrattiva (come quando si scolpisce la pietra levando) o per via additiva (accumulando creta o gesso), ma a partire da singoli elementi recuperati, magari anche sagomati, ritagliati e poi saldati, che danno vita a una scultura non programmata la quale, poco alla volta, si va componendo e prende forma nello spazio, suggerendo non di rado essa stessa possibili vie da seguire. Non solo si eliminano così i tempi lunghi e i passaggi necessari alla lavorazione in bronzo, dal progetto alla fusione, ma l’opera cresce in tempo reale a confronto con scelte alternative che, pertanto, possono sempre dar vita a percorsi e soluzioni diverse.
Ara meccanica, 2005
Questo comporta una grande libertà per lo scultore che è però anche un grande rischio, se non la si tiene saldamente controllata e non si trascura la dialettica interna ai dualismi che stanno sottesi: tra libertà e rigore, tra natura e industria, tra storia e contemporaneità. Ma soprattutto tra l’oggetto di scarto o i vari frammenti e la loro rinascita grazie alla creazione artistica che conferisce loro un nuovo senso e li pone su un altro piano rispetto ai criteri pragmatici di utilità e funzionalità. Pur nella varietà di soluzioni che attraversa il suo percorso – e la rassegna ne dà conto – è infatti evidente che Bellini opera sulla tensione tra quei contrari, accorcia le distanze tra industria, storia e natura; cerca il punto di sintesi tra la tradizione alta della scultura (ancora percepibile in alcune sue sculture come Nike o Orizzontale 1) e la novità dei materiali e delle forme, come in Equilibri del 2006 che spicca per la forte carica di energia interna. L’intento che anima le sue sculture (non è solo estetico) è dunque quello di una ritrovata unità e di una diversa armonia (non di rado anche architettonica) a partire dall’eterogenietà e dalla disarticolazione dei residui o dei frammenti, operando all’interno di un processo creativo in cui rigore e libertà inventiva, modernità e tradizione della scultura procedono all’unisono o, quantomeno, cercano l’accordo.
Talvolta ricorrendo anche al colore, in relazione o in contrappunto con la tinta naturale della ruggine, ma ancor più quando amplifica il raggio di sperimentazione passando dagli scarti ferrosi, solidi e pesanti, alle lamiere industriali di ferro zincato, sottili e dal colore argenteo, che egli sforbicia, piega, e assembla come fossero sottili ritagli di carta con cui costruire una struttura leggera e architettonica. Ne sono prova le opere esposte, a volte più solide e compatte, altre più libere leggere e mosse, qui da sembrare quasi un groviglio, là traversate invece dalla luce o che giocano con il vuoto, ricondotte alla loro essenza di pure forme che si elevano verso il cielo. Ciò che le accomuna è però l’idea di un ordine che trascende il disordine e lo spreco, che rivitalizza le “disiecta membra” di una società frammentata letta nell’opera di un artista che umilmente ma con tenacia cerca una sintesi.
Equilibri, 2007