Aperta a Chiasso fino al 28 giugno, ‘Entre-deux, tempi e terre di mezzo’, un interrogarsi sulla nostra percezione ‘scombussolata’ dalle nuove tecnologie
Per sottolineare il suo ritorno alla ConsArc (stavolta però con una Personale e non più in una Collettiva), nei giorni scorsi Roberto Mucchiut ha voluto incontrare il pubblico nell’accogliente Galleria chiassese. Un pubblico variegato: accanto agli aficionados appassionati di fotografia che non mancano mai a vernissage ed esposizioni proposti da Guido Giudici, amici e conoscenti, of course; ma c’era pure qualcuno interessato a individuare personalmente l’artista, di cui ben si conosce il nome grazie alle sue performance nell’ambito delle cosiddette arti performative (musica, danza e forse soprattutto teatro: numerose le sue collaborazioni alle produzioni del Lac, ai registi Carmelo Rifici e Igor Horvat in particolare), restando tuttavia una figura da “dietro le quinte”, salvo per l’applauso finale che vuole tutti sul palco quando cala il sipario.
Classe 1960, alle spalle una formazione in informatica, ma anche in foto/video e sound design, artista che definire multimediale sarebbe riduttivo – visti i suoi variegati interessi, Mucchiut si è dimostrato disponibilissimo verso tutti: un po’ imbarazzato con chi si accontentava di esprimergli semplicemente il proprio apprezzamento, pronto a riassumere la genesi di questa o quella immagine, così come a spiegare ai curiosi come mai è ricorso al “foro stenopeico” (rudimentale apparecchio fotografico che, narra la leggenda, dobbiamo al genio di Leonardo), più visibilmente contento quando qualcuno gli chiedeva approfondimenti tecnici. In questo contesto (e come suggerisce il titolo della mostra: ‘Entre-deux, tempi e terre di mezzo’), l’ha fatta da padrone il binomio analogico/digitale. Con tutte le subordinate del caso: vero o falso? Immateriale eppur virtuale? È il caso della serie ‘Matière’, dov’è messa in scena la rappresentazione del mondo fisico (la realtà?) con immagini di paesaggi alpini ottenuti con la tradizionale pellicola e poi elaborate digitalmente con un software creato dallo stesso Mucchiut. Il quale, per la serie ‘OI’ – Organic Intelligence, in chiara opposizione alla sempre più discussa AI – ha riaperto gli archivi, puntando sulle diapositive realizzate nei suoi viaggi degli anni 80, poi ri/fotografate per ottenere, con un processo manuale di aggregazione e sovrapposizione, nuovi paesaggi. “Luoghi onirici inesistenti – come si legge nell’opuscolo che accompagna la mostra – ma che dal punto di vista emozionale sono carichi di realtà complesse, capaci di trasformare memorie personali ormai quasi dimenticate in nuove piccole storie da condividere”.
Ci si muove tra arcano e onirico anche nella serie ‘Sans’, dominata dal b&n e in cui luce e movimento (le immagini sono volutamente sfumate) attirano l’attenzione dello spettatore, chiamato a un piacevole “sforzo creativo di interpretazione”. Sono fotografie realizzate con un apparecchio digitale senza obiettivo. Molto interessanti anche ‘Crépuscule 1 e 2’, due dittici realizzati il primo in uno scorcio anonimo, catturato prima del sorgere del sole e un’ora dopo, con la stessa esposizione. Il secondo dittico ci porta invece in una radura ai margini di un bosco, immortalati il mattino e sul far della sera, evidenziando così lo scorrere del tempo e un’atmosfera che appare sospesa.
Nel suo atelier di Agra, insomma, Roberto Mucchiut non si limita a una sterile ricerca estetica, spingendosi viceversa a interrogarsi sulla nostra identità e su una percezione non più univoca, bensì scombussolata dalle nuove tecnologie.